lunedì 29 settembre 2014





IL SIGNOR PARMENTIER E LE PATATE


Van Gogh, Contadine in un campo di patate


La patata fu introdotta in Europa dopo la scoperta dell'America, ma la gente riguardo ai cibi-novità era molto diffidente, allora più di oggi. Perciò erano pochi quelli che la utilizzavano. Nel 1769 ci fu una produzione insufficiente di grano: l'Europa si trovava di fronte all'ennesima carestia. L'agronomo e nutrizionista Antoine Parmentier presentò a re Luigi XVI il tubero, descrivendone le potenzialità: ''Si tratta di pane bell'e pronto, senza passaggi al mulino nè al forno''. 

  Il re non si emozionò più di tanto, ma ordinò che ne venissero spediti ai contadini, con l'obbligo di procedere all'impianto. I risultati furono pari a zero, come le capacità del sovrano di fare propaganda.  Anche Parmentier cominciò a regalare patate a destra e a manca., ma invano. 
 Siccome era un uomo pieno di risorse, ebbe un'idea: si mise a coltivar patate in un campo trincerato, sorvegliato da guardie armate giono e notte. Fece spargere la voce che lì si coltivava un prodotto preziosissimo riservato al re. A quel punto l'attrativa del prodotto crebbe, e molti, nottetempo entrarono nel campo per rubare tuberi.  Parmentier vinse così la diffidenza e la patata divenne popolare. Fu una conquista per l'umanità, milioni di persone si sfamano oggi con le patate (molti altri per colpa delle patate sono morti di fame, ma questa è un'altra storia).
In onore di Antoine Parmentier la gastronomia francese ha dato il suo nome alle pietanze che come principale ingrediente hanno le patate: Hachis à la Parmentier, Potage Parmentier, Omelette à la Parmentier ecc.
Per il puré Parmentier:
 Rosolate nel burro due porri tritati (solo la parte bianca) e 600 gr di patate sbucciate e fatte a pezzetti. Diluire con 1 l e 1/2 di brodo bollente e cuocete a fuoco vivo finchè le patate sono disfatte. Passate al setaccio, rimettete sul fuoco e stemperate con latte caldo. Completate con 100 cc di panna liquida, un pezzo di burro, del formaggio grattugiato tipo groviera, noce moscata e pepe. 

domenica 28 settembre 2014






''TRAMONTO A MARRAKECH''


Marrakech


Marrakech

Cresciuta con i romanzi salgariani, mi è rimasto un imprinting particolare, che riguarda il Nordafrica, l'India e l'Indonesia: un fascino per l'esotico, generico e infantile, da cui non sono mai guarita. Non avendo la possibilità di viaggiare, per più di un motivo, ho trasferito in cucina questa passione. La mia biblioteca di ricettari di cucine straniere è, modestamente, immensa. I miei amici hanno subito per anni i miei esperimenti, che io vivevo come viaggi virtuali.
La ricetta sottostante in realtà non è per niente esotica. L'ho presa da un libro americano sul Natale (di Barbara Randolph). Sarò sincera: ho deciso prima il nome del dolce, e poi ho pensato come realizzarlo. Volevo che nella composizione del piatto ci fossero i colori di un tramonto, e che le fette del dolce ricordassero le mura esterne delle città marocchine. Il fatto che l'ingrediente principale fossero i datteri è stato decisivo per la scelta della ricetta.

Per il pane ai datteri:

Mescolate 1/2kg di datteri tagliuzzati con 2 cucchiaini di bicarbonato e 1 tazza 1/2 di acqua bollente. Mettete da parte.
 In un altro recipiente unite 2 tazze 1/4 di farina, 1/2 cucchiaino di lievito artificiale, 1/2 cucchiaino di sale, 1 tazza 1/2 di zucchero. Mettete da parte anche questo.
 In un terzo recipiente sbattete un uovo con un cucchiaio d'olio di semi e aroma di vaniglia. Preparate anche una tazza di gherigli di noce a pezzetti.
 Ora aggiungete alternativamente la miscela d'uovo e quella con i datteri agli ingredienti in polvere. Infine unite le noci. 
Versate il composto in una o due teglie da plum-cake foderate di carta forno. Cuocete per 1h 1/4 o finchè si rassoda. Sformate e staccate subito dalla carta. Si conserva anche per diverse settimane, se ben involto.
 
Per adesso è semplicemente un pane ai datteri...
 Per impiattarlo:
Preparate un'abbondante crema inglese. La maggior parte la colorerete d'arancio, con coloranti alimentari. Una parte molto più piccola la colorerete di rosso, e qualcosa la lascerete al naturale.
Con un mestolino versate la crema arancio su ciascun piatto in maniera che ne copra il fondo. Con un cucchiaio o una siringa fate colare la crema rossa per formare il cerchio del sole in alto.
Poggiate con attenzione le fette di dolce tagliate in formato decrescente, cominciando dalla più piccola.
Con la crema al naturale messa in una siringa, ''movimentate'' un po' la parte che rappresenta il suolo.
Con una mascherina di cartone ritagliata approssimativamente, formate un disegno che ricordi delle palme, facendo cadere del cacao da un colino (vi riusciranno certamente meglio delle mie, che mi stavo affannando a prepararne tredici in una cucina ingombra).
E voilà, il dolce è pronto, e gli ospiti faranno ''Ohhhh!''



...e qui è diventato ''TRAMONTO A MARRAKECH''


(Naturalmente voi avevate preparato il pane ai datteri un paio di settimane prima, avevate ritagliato in anticipo le fettine a misura, e la mascherina a forma di palma giaceva da tempo nel cassetto).

Altri dolci qui:
 Dolce di fiocca
I dolci dei Re Magi 
Pampepato
Dolci di Natale  
Regali gastronomici
Torta Sacher  
 Tortini al cioccolato, centro liquido   
 ''Cinderella'' 

venerdì 26 settembre 2014





 LE ISOLE FELICI DEI MARI DEL SUD
(SECONDA PARTE)


Nonostante i cambiamenti avvenuti negli ultimi 300 anni, il mito resiste nell'immaginario collettivo occidentale.
Thaiti è forse l'isola che è cambiata maggiormente. Anzitutto non ha mai posseduto le grandi spiagge bianche che ci si aspetta dalle isole polinesiane, ma solamente scogli e qualche spiaggia nera, vulcanica.
 Il capoluogo, Papeete, quella di Gauguin, è oggi una città orribile, non grande, ma iperaffollata, trafficata, rumorosa. L'unico posto con qualche traccia di folklore locale è forse il mercato.






Gauguin vi restò qualche anno, ma poi, non riuscendo a sbarcare il lunario, si trasferì alle Marchesi, 1500 km a nordest, isole molto meno civilizzate perchè mancanti di aeroporto. Fu lì che solo, lebbroso, ammalato di sifilide, morì per problemi cardiocircolatori.
  



Lo scrittore Somerset Maugham soggiornò con soddisfazione a Papeete 13 anni dopo la morte di Gauguin. La trovò molto affascinante, splendida di colori, di luce, di mare e di cielo. Gli ispirò anche il romanzo La Luna e Sei Soldi, una biografia di Gauguin molto libera e romanzata.


 Anche Matisse vi trascorse tre mesi nel 1930. Pure lui se ne innamorò, e la descrisse con bellissime parole.




 Quattro opere di Henri Matisse: Finestre a Papeete


 

















Ancora negli anni '50 lo scrittore James Michener parlò di Papeete come di un paradiso popolato da persone di ogni razza, tutte sorridenti e felici. Nel suo South Pacific parla di sale da biliardo, biciclette, stradine strette, larghe verande, sartorie cinesi e sale da ballo.
Folco Quilici  andò in Polinesia a più riprese. La descrisse priva di barriere sociali.


 Per strada le grandi ville si affiancavano alle capanne più modeste, non c'erano quartieri eleganti e quartieri poveri. I miliardari potevano andare a ballare con le cameriere, il Governatore e la sua cuoca frequentavano  gli stessi locali.
Nei viaggi successivi le macchine erano aumentate, e Papeete era diventata caotica. Gli abitanti non andavano più a pescare, bensì al lavoro, e rientrati a casa guardavano la tv: avevano cambiato sistema di vita. 
Oggi Papeete, capoluogo di Thaiti, è fra le città più caotiche al mondo; le barriere sociali sono molto sentite, e così pure il razzismo dei polinesiani verso i loro cugini delle meno civilizzate Isole Marchesi. Quando questi, attratti dalla civiltà e dall'urbanizzazione, emigrano ad Thaiti, i Thaitiani tendono a relegarli in miserabili periferie.


Negli anni '70 il compositore/poeta/cantante Jacques Brel si trasferì a vivere alle Marchesi, per puro spirito d'avventura. Le comunicazioni con gli altri arcipelaghi (per non parlare del resto del mondo) erano ridottissime. Egli mise a disposizione della popolazione la sua imbarcazione e il suo piccolo aereo, e cominciò un servizio gratuito di trasporto di merci e posta.

Jacques Brel e il suo bimotore
Non descrisse mai le Marchesi come un paradiso, ne parlò e le cantò per quello che erano: un posto molto povero e primitivo, con cieli grigi, pioggia, e difficoltà oggettive per gli isolati abitanti. La sua canzone Les Marquises, non ha nulla di folkloristico, neanche nella malinconica melodia. Potete ascoltarla qui .
 Brel visse per diversi anni a Hiva Hoa, dove Gauguin aveva passato gli ultimi anni della sua vita, e benchè sia morto a Parigi, è sepolto nel piccolo cimitero dell'isola, a fianco a Gauguin.
 
Paul Gauguin

Non è cambiata solo Thaiti, e la sua Papeete. Le isole di re Salomone (un migliaio) al momento della loro scoperta avevano grossi giacimenti d'oro. Oggi sono un paese appena uscito da un lungo periodo di lotte intestine tra diverse fazioni, un paese abbastanza povero, periodicamente distrutto da terremoti e conseguenti tsunami, e, come se non bastasse, anche avvelenato dalla malaria. Possiamo dire che le favolose Isole di re Salomone sono definitivamente uscite dal mito, benché rimangano come luogo dell'immaginario letterario.
Le isole Vanuatu sono anch'esse poco ricercate dai turisti. Si va da un terremoto ad uno tsunami con brevi intervalli. Poi la situazione sanitaria è inadeguata e la mortalità infantile drammaticamente alta.
Nell'immaginario collettivo permangono invece a pieno titolo Bora Bora e Moorea, con tutto il loro fascino, una natura generosa e indigeni piacevoli. La stessa cosa può dirsi di Samoa. Le Fiji invece hanno un fascino più recente, grande, ma privo di quell'alone di leggenda e dello spessore letterario delle Tonga, di Samoa, delle Marchesi ecc.

Bora Bora

 
Moorea

Chi è andato a vivere al giorno d'oggi in Polinesia, facendo il grande passo e dando una svolta alla sua vita, ha davvero trovato il paradiso? C'è chi ha fatto ricerche e interviste, e riporta risposte abbastanza varie. Qualcuno dice di aver ritrovato se stesso, qualunque cosa si intenda. Altri hanno appagato interessi culturali; altri ancora si sono lasciati inebriare dalla bellezza straordinaria della natura incontaminata, altri hanno trovato una vita senza stress. Qualcuno cercava, e ha trovato,  ispirazione artistica. Certo tutti hanno sperimentato una lentezza di ritmi nuova, un senso di sconfinata libertà, una natura stupenda. E se non si è trovato veramente l'Eden, di sicuro nessuno ha intenzione di lasciare quest'ottimo surrogato.
Quando si arriva su un'isola felice si scopre immediatamente che l'immagine dell'uomo bianco sdraiato sotto la palma, affiancato da una bella vahiné, è solo uno sciocco stereotipo. In paradiso si deve lavorare duro (in genere nel campo turistico). Ma senza troppi obblighi, serenamente, e tra splendide spiagge e cieli un po' meno splendidi.



La mescolanza di razze cinesi, francesi e maori hanno creato una razza bellissima, soprattutto parlando di ragazze. In nessun'altra parte del mondo i coloni hanno sposato le indigene, ed esse, le vahiné, hanno fatto da tramite tra francesi e indigeni per due secoli.



Oggi le vahinè, anche se belle, sono reputate donne di scarsa dolcezza, che mancano di discrezione, e che non conoscono le raffinatezze del piacere nè vi sono interessate. Sono frivole, superficiali e infedeli. E' difficile intrattenere con loro legami durevoli e profondi.




La vita culturale sulle isole, se c'è, è molto differente dalla nostra. Dopo poco gli argomenti mancano.
Gli indigeni, tutti cristiani, non hanno mai compreso il concetto di peccato. Però vanno a messa ogni domenica, frequentandola come funzione sociale.

I polinesiani non discriminano i bambini nati fuori dal matrimonio (che sono tanti! ). Essi vengono allevati da mamme, nonne, sorelle o chiunque altro. Non vengono discriminati nemmeno gli omosessuali o i travestiti. 
La parte più difficile che incontra chi si trasferice qui è tentare di avere rapporti con gli indigeni. Si scopre quasi subito che vi sono differenze culturali insormontabili. Sono intelligenti ma vivono alla giornata, non mantengono le promesse, non conoscono la puntualità, e confrontarsi con loro è una fonte di frustrazione. Per il resto la vita presenta pochi problemi: qualche difficoltà nel fare la spesa: esclusa Papeete, non vi sono market come li intendiamo noi; si rischia di dover comprare la roba a sacchi anzichè a confezioni.  In compenso si risparmia sugli abiti (gli stessi tutto l'anno) e sul riscaldamento. Si gode dei colori decisi del paesaggio tropicale, si assapora la tranquillità, ed è certo che molte di queste persone non torneranno più in Europa.
 
Paul Gauguin

Ma guai ad andarci per disperazione, per una delusione d'amore o perchè si è perso il lavoro. Lontanissimi da casa, senza nessuno con cui parlare, tagliati dal mondo, resterebbe solo il suicidio!
Scegliere il mito delle isole felici funziona solo se si ha l'animo sereno, meglio se insieme ad un compagno, una famiglia, un amico con cui dividere l'esperienza. Inutile scegliere Papeete, che è una città a tutti gli effetti, con i difetti di tutte le città. Piuttosto è meglio andare in un atollo lontano, dove la Polinesia sia ancora quella di Gauguin. Si possono fare splendidi incontri con europei che hanno condotto una vita avventurosa.
 
Per concludere voglio riportare un brano di un'intervista fatta al grande attore Arnoldo Foà. Parla della sua fuga alle isole Seychelles, isole dell'oceano Indiano, ma dal punto di vista del mito, assolutamente equiparabili alla Polinesia.  ''La fuga alle Seychelles per quattro anni, con il primo governo Berlusconi, è stata raccontata come un esilio politico: dopo aver sofferto il fascismo, gli ex fascisti tornavano al potere... In realtà decisi di rimanerci, più che di andarci. Mentre l'Europa è un'espressione della civiltà, le Seychelles sono un'espressione della natura, gli uomini somigliano alle piante, agli animali, agli uomini, è un modo di vivere naturale. In Europa si vive artificialmente, devi pensare a chi sei, a cosa pensi, a chi credi. Belle le Seychelles, belle!''



FINE 

Qui trovate la
prima parte


giovedì 25 settembre 2014





LE ISOLE FELICI DEI MARI DEL SUD
(prima parte)

James Cook
 
Nel XVIII secolo il capitano Cook fu incaricato dalla Royal Navy di cercare la leggendaria Terra Australis. Dopo aver mappato buona parte delle coste dell'Australia, dimostrandone la grandezza continentale, fu nuovamente mandato verso l'emisfero sud, perchè si continuava a credere che più a sud ci fosse un altro continente.
 



 Cook in effetti riuscì a raggiungere la costa dell'Antartide, ma la desolazione del luogo era tale che, se quello era il famoso continente australe, lo si poteva lasciar perdere. La cosa interessante fu che, abbandonate queste perlustrazioni, si dedicò a visitare e mappare una quantità di isole e arcipelaghi: Le Hawaii, le Marchesi, Tahiti, l'isola di Pasqua e un'infinità di altre isole Polinesiane.






Dopo questi viaggi si cominciò a pensare alla Polinesia come un luogo bellissimo, con meravigliosi paesaggi, indigeni amichevoli, un clima caldo, una vita facile in mezzo ad una natura più che prodiga, e per di più dei costumi sessuali molto liberi.
In Europa si diffuse in quegli anni il mito del ''Buon Selvaggio'', ossia il concetto di un'umanità non ancora guastata dalla civiltà, dunque innocente e vicina alla natura. Questo mito si trascinò appresso anche quello delle isole felici dei Mari del Sud. 
 



 Il fascino era innegabile, ma la realtà naturalmente era diversa.
I nativi erano gentili coi bianchi, e fra di loro erano molto sentiti valori come amicizia e solidarietà. Ma non si può dire che fossero pacifici. Spesso entravano in guerra con popolazioni di isole vicine, facevano sacrifici umani al dio della guerra (anche il capitano Cook vi assistette una volta), e avevano anche un altro costume, questo peggiore ancora: essendo abilissimi navigatori, si spostavano con le piroghe anche per lunghi viaggi; per avere scorte di carne fresca si portavano appresso un prigioniero nemico, e durante il viaggio ne tagliavano porzioni per nutrirsi, senza peraltro ucciderlo, visto che doveva durare per tutto il viaggio. Con tanti saluti al Buon Selvaggio.






Quanto al clima, era sì caldo, ma umidissimo e soffocante. La presenza di zanzare e altri insetti lo rendeva molto fastidioso. E poi c'erano i frequenti uragani.
Il sesso era effettivamente molto libero, e la cosa colpì molto gli europei cresciuti sotto il pugno ferreo della religione e dei suoi tabù. Tuttavia, come scoprirono presto i primi europei che decisero di andare a vivere in Polinesia, il sesso non è tutto.



Paul Gauguin
  
 In un paradiso dove non ci si doveva arrabattare per la sopravvivenza, dove bastava gettare un amo in mare per approvvigionarsi di pesci, dove bastava allungare una mano per raccogliere frutti squisiti, dove gli abitanti vivevano esclusivamente nel presente, senza far provviste nè progetti, nè aver preoccupazioni, gli argomenti comuni di conversazione mancavano. I polinesiani (e le polinesiane) erano un po' infantili e totalmente inaffidabili, con un senso del tempo, delle responsabilità, dei doveri, assolutamente assente. La comunicazione e gli scambi culturali, con una popolazione che non conosceva la scrittura, la tessitura, e tante altre cose, erano praticamente impossibili. La maniera di vivere nulla aveva in comune con la cultura europea. Al di là del sesso c'era solo un'incommensurabile noia.


Paul Gauguin: Vahiné sotto un albero di mango

Quando l'Europa scoprì la Polinesia ci furono subito delle conseguenze: l'arrivo dei missionari e la comparsa delle malattie veicolate dall'uomo bianco, prime fra tutte quelle veneree.
I missionari, in molti casi si dimostrarono dei veri imbecilli: distrussero molta della vegetazione esistente per far sì che gli indigeni dovessero coltivare, lavorare, sudare per avere da mangiare. Essi pensavano infatti che il lassismo dei polinesiani derivasse da una vita troppo facile. Cercarono anche di inculcare il senso del peccato e dei tabù sessuali. Fu però uno sforzo vano: il sesso piaceva troppo. Riuscirono meglio nell'inculcare il senso del pudore. Ancora oggi si possono vedere turiste occidentali ''pagane'' che prendono il sole nude, nella convinzione che le Isole Felici siano proprio il posto giusto per queste trasgressioni, mentre le ragazze locali fanno il bagno vestite. I giovani polinesiani guardano con concupiscenza le ignare (o consapevolissime) signore straniere.

Nonostante gli enormi cambiamenti avvenuti negli ultimi 300 anni, il mito resiste nell'immaginario collettivo occidentale....
Fine della prima parte. 

Paul Gauguin
Qui trovate la seconda parte

mercoledì 24 settembre 2014




''CINDERELLA''
o ''Fuga di mezzanotte''

Un dessert che ho dedicato a Cenerentola: topi, zucca e cenere



Si tratta di un dolce da servire alla fine d'una cena. Potrebbe sembrare lungo da preparare, ma in realtà i vari elementi  si fanno separatamente, anche con un certo anticipo. 
Conoscete il cioccolato plastico? E' di gran moda ed è molto facile. Potete prepararlo anche con un mese di anticipo, se volete. Serve per preparare guarnizioni di torte, pupazzetti ecc.
Prendete 200gr di cioccolato bianco, fatelo a pezzetti e scioglietelo a bagnomaria. Una volta sciolto toglietelo dal fuoco e aggiungete 10gr d'acqua e 30gr di miele e mescolate bene con una spatola.
Mettete sul piano del tavolo 50-60gr di zucchero a velo. Sopra poggiate l'impasto di cioccolato e cominciate a lavorarlo con le mani in modo che assorba lo zucchero. Potrebbe esser necessario asciugare con carta da cucina un eccesso di burro cacao che fuoriesce dall'impasto; e potrebbe servire anche altro zucchero a velo affinchè l'impasto sia ben maneggiabile (sino a 100gr). 
Ora avrete un panetto di cioccolato plastico molto compatto. Si conserva avvolto con pellicola in luogo fresco. Col freddo indurisce, ma torna plastico scaldandolo con le mani. Quando vi sarà comodo, prendete una certa quantità di cioccolato plastico e coloratelo con tinte alimentari. Per fare il grigio ho mescolato piccolissime quantità di tutti i colori che avevo. Fabbricate dei topini , tanti quanti saranno i dolci ''Cinderella'' che servirete,e riponeteli.
Tingete di verde un altro po' di cioccolato plastico e ritagliate le foglie che andranno sulle ''zucche''
Cercate della liquirizia pura (non quella gommosa) e riducetela in polvere insieme a qualche cucchiaino di zucchero: dovete ottenere una polvere grigia che rappresenterà la cenere. Riponete anche questa in una scatolina ben chiusa.
Il giorno prima di quello in cui servirete questo dessert, preparate una normale crema pasticcera e mettetela in frigo. 
Polverizzate degli amaretti secchi e metteteli da parte.
Per assemblare il dolce: mettete in ogni piattino una mezza pesca sciroppata ben scolata, col taglio verso l'alto. Sopra la mezza pesca ponete due cucchiaiate di crema pasticcera mescolata con gli amaretti in polvere. Sopra appoggiate l'altra mezza pesca e guarnite con le foglie verdi: questa sarà la carrozza che è appena tornata zucca. Vicino ponete un topino (che fino a mezzanotte era un cavallo). Spolverate tutto con la cenere fatta di liquirizia, lasciandola cadere da un colino. Infine accompagnate con nuvole di panna montata.
Molti hanno trovato il mio topino disgustosamente realistico: avrebbero preferito qualche topo antropomorfo in stile Walt Disney. Ma io propendo per quello che ho fatto. 

Altre ricette di dolci:  Torta Sacher 
 Tortini al cioccolato, centro liquido   
  ''Tramonto a Marrakech'' 
 I dolci dei Re Magi  
 Cioccolata seicentesca     
  Mousse di cioccolato bianco

lunedì 22 settembre 2014



 CLAUDE MONET E LA CATARATTA
(PAZIENTI ILLUSTRI)



Il ponte giapponese in una versione del 1899

Claude Monet, uno dei maggiori interpreti dell'arte impressionista, ci ha lasciato delle opere stupende. Nel dipinto qui sopra il ponte giapponese ci appare definito da pennellate leggere e colori delicati ed eleganti.  Dopo i sessant'anni, cominciò lentamente a cambiare il suo stile. Le sue opere divennero più confuse, quasi astratte; le pennellate più spesse, le ombre più scure, e la tavolozza perse via via i colori più freddi, gli azzurri e i bianchi. Le tinte predominanti diventarono l'arancio, il marrone, il porpora scuro, mentre la luminosità che aveva sempre caratterizzato le sue opere, si abbassò sensibilmente.
 
1900

L'amatissimo giardino di Giverny pareva aver perso i suoi colori e i suoi contorni. Tutto era pervaso da nebbia. Cos'era successo? Una cosa piuttosto comune: una cataratta brunescente all'occhio destro, e una di minore entità a sinistra. La diagnosi fu fatta nel 1912. Dopo il 1915 la situazione era ulteriormente peggiorata. 

Il ponte giapponese, iniziato nel 1918 e completato dopo l'intervento di cataratta
I verdi e i blu scomparvero quasi completamente dalle sue tele, mentre aumentavano i gialli e i rossi. Monet guardava ormai il mondo attraverso un cristallino ingiallito e scuro, che falsava la sua percezione dei colori e dei giochi di luce e ombra.

questa versione è stata iniziata poco prima dell'intervento, e completata solo nel '25

 L'artista la prese male ed entrò in una fase di depressione che lo spinse ad affrontare l'intervento all'occhio destro nel 1923. L'intervento all'epoca (e così rimase per buona parte del '900) consisteva nell'asportazione del cristallino (afachia chirurgica). Ci si liberava così della lentina che costituiva il fastidiosissimo filtro giallo. Ma senza la lentina, o cristallino, praticamente non ci si vedeva più. Bisognava allora sopperire con una grossa lente in vetro. Ma  questa grossa correzione ad un solo occhio e non all'altro, provocava vertigini, diplopie e vari disturbi. Monet avrebbe dovuto farsi operare anche a sinistra, o escludere con una benda l'occhio sinistro dalla visione. In più l'improvvisa privazione del ''filtro giallo'' con cui aveva convissuto tanti anni fu un piccolo shock. Tardò molto a riabituarsi alla visione dei blu e dei verdi. Continuò a lamentarsi fino all'ultimo che il verde era molto più verde di prima della malattia, e lo stesso poteva dirsi del blu.


 

Nella versione qui sopra, dipinta nel 1926, sono riapparsi a profusione i blu, ma il ponte è pressocchè scomparso. La visione è talmente confusa che si può pensare sia stata dipinta senza la lente di correzione all'occhio operato, ossia con la ricchezza di colori dell'occhio destro e con la ridotta definizione dell'occhio sinistro, ancora con la cataratta, e del destro privo di lente.

Possiamo vedere anche la differenza fra le ninfee dipinte da Monet quando aveva ancora gli occhi sani: luminose, ricche di ombre e riflessi, che variano a seconda dell'ora e della luce:


1898

1903

1905















 


...e le ninfee piatte, prive di riflessi e profondità, dipinte di blu in modo artificioso (perchè Monet, pur non percependolo, sapeva esserci del blu) di quando ormai la cataratta era avanzata:

1916

1915
Qui sotto una delle ultime opere, dipinte dopo l'intervento di cataratta, quando l'artista aveva a suo modo superato i disagi dell'intervento, sembrava possedere di nuovo una tavolozza di colori normale, ma non aveva però recuperato l'acuità visiva. La soluzione definitivamente scelta fu quella di una pittura quasi astratta.



1924: La casa dell'artista vista dal giardino delle rose
Claude Monet mori pochi anni dopo, nel 1926, di un carcinoma polmonare diagnosticato 6 mesi
prima.

FINE

domenica 21 settembre 2014





UOVA ALLA SARDA




Paul Cézanne

 Così venivano chiamate in un ricettario di cucine regionali, queste uova che ho deciso di portare stamane a casa di Pisella e Ignazio. Oggi si festeggiava a Solanas il loro anniversario di matrimonio, con un buffet nel patio e nel giardino (un caldo...).
Sta di fatto che non ho ritrovato il ricettario, e ho dovuto fare a memoria. Per di più queste uova di sardo non hanno niente, nessuno le conosceva, mai sentite nominare. Comunque le hanno spazzate tutte, perchè sono abbastanza buone. Sono anche molto comode e si preparano dal giorno prima.
Mettete a bollire una ventina di uova (noi eravamo in tanti, ma voi regolatevi come preferite). Calcolate dal bollore 10', poi scolatele con una schiumarola e gettatele in una bacinella d'acqua fredda corrente. Poi scolatele e lasciatele raffreddare.
Intanto preparate in un insalatiere una abbondante quantità di pane grattugiato (almeno 2 cucchiaiate ben colme per ciascun uovo) . Schiacciate 2 grossi spicchi d'aglio e uniteli al pane. Aggiungete pepe, olio, sale, uno spruzzo (o più) d'aceto, prezzemolo tritato. Assaggiate e aggiustate di sale, deve essere saporito.
Sgusciate le uova e tagliatele a metà. Sopra ogni metà schiacciate una grossa cucchiaiata del composto di pane. 
Versate in una larga padella dell'olio. Appoggiatevi le uova dalla parte del pane e mettete a cuocere fino a doratura. Accomodate le uova in un piatto e versatevi sopra il pane rimasto nella padella. Se nell'insalatiere vi è avanzato ancora del pane che non siete riusciti a schiacciare sulle uova, mettetelo a tostare in padella per un minuto, con dell'altro olio. Poi versate anche questo sopra le mezze uova sul piatto.
Si servono fredde.

FINE

Troverete qui altre ricette di piatti freddi adatti ad essere serviti come antipasto:

sabato 20 settembre 2014




ARINGHE MARINATE


Vincent Van Gogh: Aringhe su un foglio di carta giallo

Se non avete niente di meglio da fare, sfilettate delle aringhe affumicate. Se invece preferite impegnare diversamente il vostro tempo, comprate dei filetti d'aringa affumicati già pronti in confezione sottovuoto. Mettiamo che in tutto ne avete una dozzina.  Lavateli, asciugateli e metteteli in un'insalatiera. 
Mescolate 1/2 l di panna densa con 6 cucchiai d'aceto, 1 cucchiaio d'olio d'oliva, 1 cipolla affettata sottile, pepe in grani, 1 mela verde a striscioline, mezzo limone a fettine sottilissime. 
Versate tutto sui filetti d'aringa. Lasciate marinare per 24h. Servite gelato come antipasto guarnendo il piatto con barbe di finocchio. Potete accompagnare con patate lesse ad insalata. 
 FINE



Troverete qui altre ricette di piatti freddi adatti ad essere serviti come antipasto:

giovedì 18 settembre 2014





DONNE CHE AMANO TROPPO
(seconda parte)
 
In molti miti, e nelle fiabe, che tanto beneficio sotto altri aspetti portano ai bambini, viene veicolato purtroppo anche questo messaggio discriminatorio: quello della devozione amorosa femminile portata all'eccesso, ossia all'annullamento di sè. L'annullamento di sé rappresenta, in un certo senso, un vero e proprio “test di femminilità”. Senza questa “abilità” a devolversi nel bene altrui e a farsi riconoscere “amabile”, una donna semplicemente non si sente donna.


Nella fiaba di Biancaneve (fratelli Grimm), una ragazza appena scampata ad un'uccisione, si rifugia in una casetta nel bosco, dove inizia subito a fare le grandi pulizie nonchè a preparare da mangiare. Al rientro dei padroni di casa (sette nani), viene assunta in pianta stabile senza stipendio, e lì rimarrà a pulire e cucinare fino alla mela avvelenata e al bacio del principe. Oggi si da il nome di complesso di Biancaneve all'atteggiamento di molte donne le quali, anche in casa d'altri, anche non richieste, si dedicano alle pulizie ricolme di spirito di sacrificio.


Ne La Sirenetta (Andersen) la protagonista salva la vita al principe, se ne innamora, rinuncia al suo mondo acquatico per potergli stare vicino, anche se questo le costerà la perdita della voce e atroci dolori ai piedi ogni volta che danzerà per lui. In più avrà il dolore di assistere alle sue nozze con un'altra.


Ne La Bella e la Bestia (fiaba di Madame D'Aulnoy) la devozione amorosa riguarda inizialmente il genitore: Bella si sacrifica come ostaggio affinchè suo padre possa essere libero, nonostante sia reo del furto di una rosa appartenente alla Bestia. Pur essendo prigioniera dell'orrida Bestia per tali futili motivi, Bella si accorge di quanto è gentile, e se ne innamora: l'ennesima devozione amorosa assoluta.

 

 Cenerentola (fiaba di Perrault) è la perfetta rappresentante della bovina e silenziosa sottomissione femminile.

Wendy, con gesto squisitamente femminile, prende ago e filo per ricucire l'ombra ad un turbato Peter.
In Peter Pan e Wendy, di James Barrie, Wendy fuggirà con Peter nell'Isola che non c'è, dove gestirà il rifugio sotterraneo dei bambini, ordinando, pulendo e cucinando.

Ciliegina sulla torta: ''Griselda'', novella del Decamerone di Boccaccio, la decima del decimo giorno. Una novella terrificante, che purtroppo nei secoli godette di molta fortuna. Ne pubblico qui un riassunto:







La vicenda narrativa vede protagonisti il marchese di Saluzzo, Gualtieri, e una giovane e bella popolana di nome Griselda. Il tema, in accordo con quella della giornata, è quello della cortesia e della magnanimità nelle vicende amorose.

 Il marchese infatti, sotto la pressione dei suoi sudditi, si trova a dover scegliere in fretta e furia una moglie e, tra le tante di cui può disporre data la sua posizione, decide di sposare una graziosa guardiana di pecore, la nostra Griselda. Poco dopo le nozze la ragazza, che grazie al suo carattere dolce e accomodante e alla sua gentilezza d’animo si è subito conquistata l’amore della corte e dei sudditi del marchese vincendo i pregiudizi legati alla sua estrazione sociale, rimane incinta e dà alla luce una bambina. La notizia riempie di gioia tutti quanti, fino a che Gualtieri, spinto da un insano desiderio di prevaricazione e da un’insicurezza viscerale, decide di testare la fedeltà della moglie, e inizia a tormentarla senza alcuna pietà né rispetto. Dapprima le racconta che il popolo critica grandemente la sua provenienza popolare e che il marchese abbia scelto proprio lei, poi aggiunge che anche la bambina è mal vista in quanto figlia di una popolana. La reazione della giovane, fedele e sottomessa alla figura del marito, stupisce moltissimo il marchese, che intravede in questo atteggiamento una grande saggezza e una notevole forza d'animo.

 

Non pago tuttavia, Gualtieri manda un parente a strappare la loro bambina a Griselda, dicendole che sarà messa a morte. La madre, straziata dal dolore, ubbidisce all’ordine del coniuge, e consegna la bambina. In realtà la piccola non viene uccisa, ma affidata alle cure e all’educazione di un parente di Bologna.

Lo stesso meccanismo perverso si ripete tempo dopo, quando Griselda partorisce un maschietto, l’erede tanto desiderato. Gualtieri ripete la sua abietta condotta, sempre convinto di riuscire a testare così in profondità la fedeltà della moglie, e anche il secondogenito viene dato per morto e spedito a Bologna.






Il marchese non è ancora soddisfatto e, nonostante la moglie non si sia ribellata neanche alla presunta uccisione dei suoi stessi figli per rispetto e venerazione del marito, le annuncia di aver domandato la dispensa papale per potersi risposare con una donna socialmente degna di lui, e le ordina di tornarsene da dove è venuta, abbandonando ogni bene materiale acquisito col matrimonio. Assistiamo così all’unica ribellione di Griselda, dettata peraltro dall’attenzione per il ruolo sociale del marito. La ragazza chiede infatti di poter portare via una camicia con cui coprirsi, per non disonorare marchese e figli:

Signor mio, io conobbi sempre la mia bassa condizione alla vostra nobilità in alcun modo non convenirsi, e quello che io stata son con voi, da Dio e da voi il riconoscea, né mai, come donatolmi, mio il feci o tenni, ma sempre l’ebbi come prestatomi; piacevi di rivolerlo, e a me dee piacere e piace di renderlovi; ecco il vostro anello col quale voi mi sposaste, prendetelo. Comandatemi che io quella dote me ne porti che io ci recai, alla qual cosa fare, né a voi pagator né a me borsa bisognerà né somiere, per ciò che di mente uscito non m’è che ignuda m’aveste: e se voi giudicate onesto che quel corpo, nel qual io ho portati figliuoli da voi generati, sia da tutti veduto, io me n’andrò ignuda; ma io vi priego, in premio della mia verginità, che io ci recai e non ne la porto, che almeno una sola camicia sopra la dote mia vi piaccia che io portar ne possa.




Gualtieri richiama quindi la prole da Bologna, e spaccia la figlia dodicenne per la sua futura sposa. Inoltre ordina a Griselda di preparare tutto l’occorrente per le nozze e, mostrandole la ragazzina, le chiede cosa ne pensa, aspettandosi a questo punto un cedimento da parte della donna. Anche questa volta Griselda resta quieta, e gli dice che la sua futura sposa è bellissima. Gualtieri a questo punto, commosso dalla fedeltà della moglie, le rivela la verità: i figli non sono mai stati uccisi e sono lì davanti ai suoi occhi, lui la ama moltissimo e d’ora in poi vivranno tutti insieme felici e contenti.
E' chiaro che Griselda rappresenta il simbolo della pazienza muliebre. Purtroppo ci sono un bel pò di Griselde sul pianeta che non potranno mai sperare in questo lieto fine, ma l’incomprensibilità di un sentimento sta proprio nell’assurdo di quello che accetti pur di non inquinare quel sentimento stesso, proprio per dire “ho amato fino all’ultimo”.




FINE SECONDA PARTE