martedì 15 settembre 2015





COME ROSSELLA O'HARA


Nel romanzo Via col Vento la protagonista Rossella, che si trova in gravi difficoltà economiche (come tanti altri abitanti del Vecchio Sud alla fine della Guerra di Secessione), decide di conquistare Rhett, arricchitosi col contrabbando: spera di farsi sposare e di salvare così l'amata piantagione di Tara. Per riuscire nell'intento non deve però fargli capire di trovarsi in una situazione di bisogno, anzi, deve presentarsi al meglio. Così, sotto lo sguardo di sospetto e aperta disapprovazione della sua mammy, tira giù le tende di velluto verde della sala e con quelle si confeziona un elegante abito. Col satin delle fodere cucisce una sottoveste, e coi ritagli di velluto ricopre un vecchio cappello che guarnisce poi con le piume più belle del gallo del loro pollaio. In questa tenuta si presenta ad Atlanta da Rhett. Disgraziatamente il progetto non andrà a buon fine: Rhett si accorgerà di esser stato cercato solo per un interesse economico non appena vedrà la condizione miserabile delle mani di lei, callose e screpolate dopo che la donna ha lavorato la terra e raccolto il cotone.
Ora, cosa ha a che fare con me questa storia? Niente, in realtà. Salvo che di recente navigando in internet mi sono imbattuta in alcuni meravigliosi abiti degli anni '20, rimanendone affascinata. Ho desiderato di possederne uno, ma non è precisamente ciò che va di moda adesso: non ne ho visto in giro nè comunque avrei necessità di acquistare l'ennesimo abito, avendone già più di quanti me ne occorrano. 


 

Cosicchè ho fatto come Rossella O'Hara: ho tirato giù le tendine della stanza da letto: due finestre, quattro tendine. Due le ho cucite insieme per fare un vestito lungo alla caviglia, un'altra l'ho tagliata per far delle guarnizioni e per ricoprire un cappello di paglia vagamente a cloche. Una tendina diversa, di tulle color bronzo, l'ho usata come fusciacca ad altezza fianchi, e per completare il cappello.
























 Ho fatto dei fiori di stoffa e nastri per dare un po' di vivacità all'abito, e soprattutto per nascondere i buchi fatti dai miei pelosi che amano stazionare vicino alle finestre e ogni tanto giocano con le tende. 




  Ciliegina sulla torta, essendo l'abito molto trasparente, ho comprato una sottoveste bianca dai cinesi, e l'ho tinta di verde chiaro: se ne intravede la sfumatura dai trafori.


 Il verde è un omaggio a Rossella O'Hara. Ora il punto è: avrò il coraggio di indossarlo?

 FINE

domenica 13 settembre 2015





MARMELLATA DI BACCHE DI ROSA




Questa è proprio la stagione giusta per raccogliere le bacche di rosa, sia quelle dei giardini che quelle selvatiche (rose canine) di campagna. Potrete usarle per fare questa marmellata raffinatissima, perfetta da spalmare sui biscotti, ma anche per accompagnare formaggi e carne di maiale arrosto.
Facciamo conto che abbiate raccolto 300gr di bacche, rosse e mature.
Lavatele e tagliatele a metà, facendo attenzione al contenuto: oltre ai semini ci sono dei peletti sottilissimi che da crudi si comportano come piccolissime spine.
Spremete sulle bacche il succo di un limone di media grandezza e aggiungete anche 3 bicchierini di Cointreau (o altro liquore all'arancio). Riporre in frigo per 24h.
Cuocete il tutto con poca acqua finchè sono rammollite.
 Passate bene con un passaverdure, meglio se elettrico, per eliminare i semini.
Mettete a cuocere la purea ottenuta con 300gr di zucchero. Se occorre, aggiungete ancora un po' di Cointreau. Lasciate cuocere sino a giusta consistenza.
Volendo, verso la fine della cottura potrete aggiungere un cucchiaio di acqua di rose.
Versate in due piccoli vasetti e tappate a caldo.

 FINE

sabato 12 settembre 2015





LINGUINE INCAVOLATE





Oggi pranzo veloce: un primo piatto sostanzioso, un vassoio di formaggi e frutta. Diciamo che non mi sono sprecata.
Ho fatto rosolare nell'olio un pezzo di cavolo cappuccio tagliato a striscioline, ho aggiunto uno spicchio d'aglio tritato, e quando ha cominciato a dorare ho salato, unito un mestolino d'acqua e lasciato cuocere coperto. Quando il cavolo si è ammorbidito l'ho insaporito con olive nere, uva passa lavata e ammollata in acqua, paprika e pepe rosso macinato. Nel frattempo ho cotto al dente delle linguine di Gragnano, le ho scolate e ripassate nel tegame col cavolo cappuccio. Ci sarebbero stati bene anche dei pinoli, ma non ne avevo. 
Io le ho mangiate senza aggiungere formaggio, ed erano buonissime; ma volendo aggiungerne, io propenderei per il pecorino.
Ingredienti e dosi x 4:
1/4 cavolo cappuccio
Olio extravergine
1 spicchio d'aglio
4 cucchiai di olive nere
Un pugno di uva passa
Sale
Pepe (rosso) 
Paprika forte
 

giovedì 10 settembre 2015





L'ARCHITETTO VISIONARIO


Roma. Ingresso al quartiere Coppedè

Fra il 1916 1 il 1926 (con un'interruzione durante la Grande Guerra) l'architetto Gino Coppedè costruì a Roma un piccolo quartiere, situato fra piazza Buenos Aires e via Tagliamento. Costituito dalla piccola piazza Mincio e da quattro isolati, è formato da 18 palazzi e 27 edifici, tra palazzine e villini, ed è conosciuto semplicemente come Quartiere Coppedè.


Chi si avventura fra questi edifici viene letteralmente investito a valanga da una profusione ornamentale, un'esperienza mozzafiato di abbondanza, un incubo luminoso di illusioni fantastiche, di sterminati tesori che non si finisce di scoprire.




Sotto l'arco di ingresso al quartiere vi è un lampadario di ferro battuto. 













Subito oltre l'arco si trova piazza Mincio, con la Fontana delle Rane. 
Fa da sfondo il Villino delle Fate.







Nella Fontana delle Rane fecero il bagno vestiti (e probabilmente ubriachi) i Beatles alla fine del concerto al Piper, che si trova lì vicino. Era il lontano 1965.






 















 

 Gino Coppedè (1866-1927) visse nel secolo scorso, ma rimase con la testa e il cuore nel secolo precedente, anzi, in quelli più remoti della storia. Opponendosi alla grigia piattezza umbertina sviluppò uno stile eclettico tutto suo, bizarro, stravagante, eccentrico eppure gradevole e fuso in un unicum armonioso.




Il suo surreale linguaggio decorativo si compone di decorazioni lussureggianti, sia statuarie che pittoriche, che  movimentano le facciate asimmetriche. Motivi zoomorfi e antropomorfi, ghirlande floreali, stemmi, loggiati, timpani, balaustre, colonnine più o meno inutili, piccionaie, torri, torrette, mosaici, sculture, edicole sacre, capitelli figurati, ferro battuto liberty, ceramiche si inseguono ovunque, andando a comporre una visione assolutamente personale di architettura.

















Il gusto del recupero dell'antico, tipico del secondo '800, si sovrappone alle suggestioni del Medio Evo, con richiami gotici, manieristici, rinascimentali: una molteplicità di evocazioni storiche e fiabesche geniali e capricciose.





































Gino Coppedè fu idolatrato dai suoi committenti, dalla stampa, dal pubblico, soprattutto a Genova, dove visse e operò maggiormente. Le sue architetture divennero uno status symbol, sinonimo di eleganza, ricchezza e audacia. Fu conteso da nobiltà e ricca borghesia. Eppure, contemporaneamente, ebbe molti detrattori, e l'espressione ''stile Coppedè'' fu indice di rozzezza e cattivo gusto. Una specie di successo/insuccesso che peraltro non lo privò di una grande fortuna professionale.
Qui sotto pubblico una vignetta del grande Giuseppe Novello, il quale evidentemente non amava il kitsch di Gino Coppedè.  Faceva parte delle tavole settimanali che apparivano su La Stampa, riguardanti temi di costume e attualità e pubblicate nel periodo postbellico.



 Il quartiere romano segue due temi differenti. I grossi palazzi hanno un carattere monumentale manieristico/barocco: le facciate sono movimentate superficialmente da una superornamentazione tropicale e allucinatoria, ma mantengono un aspetto massiccio e compatto grazie ai blocchi allineati e alle grosse torri.







Un indirizzo differente è perseguito dai cosidetti Villini delle Fate, policromi, immersi nel verde (anche quello fu da lui progettato), connotati da allegria, irregolarità, asimmetrie, particolari graziosi, talvolta leziosi, ma senza ovvietà. 











Il tema è medievalistico/quattrocentesco, aulico, con fantasie favolistiche antiche, sogni provinciali e nostalgici di un passato glorioso, reminiscenze eroiche e araldiche, intrecci liberty, fasti orientali, cotto assiro, marmi ellenistici, in un minestrone universale.





 
 











 







Coppedè non creò delle contraffazioni antiquarie; creò cose vere e nuove, ma di sostanza antica, invenzioni atte a completare la storia, antichità impossibili con radici nel nostro passato e nel nostro immaginario collettivo. La sua fantasia si dilatò liberamente senza confini di spazio nè di tempo.
Il complesso edilizio divenne immediatamente alla moda Fu la dimora invidiata delle più note personalità dell'arte e della politica. Sebbene costruite senza risparmio, con soffitti a cassettoni, affreschi, maioliche nelle cucine e mosaici nelle sale da bagno, parquet in molte delle stanze, vetrate a colori e quant'altro, sono abitazioni prive di innovazioni funzionali e tipologiche. La morte prematura che colse Coppedè ancor prima di terminare la realizzazione del progetto, gli impedì di vederne il parziale fallimento: abbastanza in fretta gli ''eletti'' che vi abitavano si resero conto di quanto gli appartamenti fossero scomodi e poco funzionali. A questo proposito ecco un'altra vignetta di Novello:



Non incontrando più il gusto e le esigenze di chi li aveva acquistati, passarono di mano. Furono rilevati da persone meno in vista, a prezzi meno alti. 
Molti (oggi la maggior parte) furono convertiti in uffici di rappresentanza di grosse ditte o di ambasciate. Tutti furono necessariamente ristrutturati.
I concetti di abitazione oggi son molto diversi da quelli di allora. Gli appartamenti concepiti da Gino Coppedè hanno tutti bellissimi spazi per ricevere, vasti e articolati, spesso composti da sale diverse comunicanti fra loro tramite grandi archi. Ma le zone di servizio, come la cucina, sono lontane e nascoste, essendo destinate all'uso esclusivo della servitù. Inoltre lo spazio è sovente scandito da larghi e lunghi anditi, oggi visti più che altro come uno spreco.
Comunque, quando mi è capitato di visitare il quartiere, ho notato che non si trattava solo di uffici: si vedeva che c'era ancora un andirivieni tipico delle abitazioni private, ma non abitate da comuni mortali. In giro ho visto maggiordomi in giacca rigata e camerieri filippini; dei fortunati e ricchi abitanti invece, nessuna traccia. 
Metto qui le foto di alcuni degli ingressi. Più in là non sono potuta andare.  







Il desiderio di poter guardare dentro queste case da favola era grande. Ma per fortuna l'onnipotenza del web ci viene incontro: a seguire pubblico alcune foto degli interni. Molti sono splendidi, con le carte da parati, i pavimenti, gli affreschi originali. Altri sono arredati in modo deludente e pretenzioso, e nelle ristrutturazioni hanno perso parecchio.









Questa cucina (completamente ristrutturata) ha il balconcino sotto il grande arco di ingresso al quartiere, proprio sul lampadario in ferro battuto.




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Lo stile Coppedè nacque e morì con Gino, poichè era l'espressione della sua personale immaginazione. Ma tutti coloro che di immaginazione sono dotati, così come della capacità di sognare, possono riconoscervi ciò che hanno sognato da bambini, da adolescenti, e, se sono fortunati, anche da adulti.

FINE