mercoledì 15 novembre 2017




IL CIBO NELLE FIABE


Schiaccianoci e il re dei topi (Hoffman)

Le fiabe nacquero secoli e secoli fa, quando la vita era durissima quasi per tutti, in particolare negli ambienti contadini: secoli bui di carestie, pestilenze e soprusi. Non è infatti un caso che quasi tutte le fiabe parlino di cibo o di fame. In molte di esse si affaccia addirittura lo spettro del cannibalismo, attribuito in genere a orchi e streghe (ma, nella realtà, probabilmente praticato davvero nelle plaghe più nascoste e isolate, in situazioni di grave necessità).

 Questo avviene per esempio nella fiaba de La Bella Addormentata nel Bosco di Perrault dove, nella seconda parte molto spesso 'espurgata', dopo il risveglio della principessa e il matrimonio col principe, la madre del principe si rivela essere un'orchessa. Essa, approfittando di un'assenza del figlio, chiede al proprio cuoco di mangiare ''in salsa Robert'' dapprima la nipotina, frutto della giovane coppia, poi il nipotino, e infine la stessa principessa. Il cuoco impietosito le farà servire di volta in volta un agnello, un capriolo e una cerva, nascondendo le vittime designate, fino al ritorno del principe e alla punizione e morte dell'orchessa.




Apro una parentesi per dirvi come si prepara la salsa Robert, un classico della grande cucina francese. Fa parte delle salse derivate dalle ''salse madri''. Queste salse nacquero alla fine del '600, l'epoca appunto in cui Perrault raccolse e scrisse le sue fiabe.

Salsa Robert (per arrosti):
Basta partire da una salsa demi-glace, mescolarla con due cucchiai di cipolla già rosolata nel burro e deglassata con mezzo bicchiere di vino bianco ben ridotto. Far bollire tutto e fuori dal fuoco unire senape bruna. Come dite? Non avete in frigo la salsa demi-glace? Be', in tal caso potete prepararla prima: è sufficiente prendere della salsa spagnola (una delle famose ''salse madri''), farla ridurre a fuoco moderato e poi unirvi estratto di carne e vino Marsala secco. Come? In frigo non avete pronta neanche la salsa spagnola? Allora prima dovete prepararla: fate un soffritto di cipolla, carota, sedano e prosciutto con burro, timo e alloro. Portate a cottura e aggiungete 1/2 litro di sugo di carne e continuate a cuocere per circa 4h. Addesate con un roux bruno e filtrate. Avrete così la salsa spagnola che è il punto di partenza. Come? Non avete mezzo litro di sugo di carne? Ripiegate sulla salsa barbecue, che sugli arrosti ci sta benone.


Tornando al cannibalismo, la stessa cosa accade in Biancaneve (Fratelli Grimm): la matrigna (che in realtà non è una strega, ma solo molto crudele) incarica il guardiacaccia di portare Biancaneve nel bosco, ucciderla e riportarle come prova il fegato e i polmoni. Anche in questo caso il guardiacaccia impietosito lascia andare Biacaneve e porta alla regina fegato e polmoni di un cinghiale, che la regina si mangia con grande soddisfazione arrostiti.










G. Doré: la moglie dell'orco sfama il marito affinchè non uccida subito i bambini


In Pollicino (Perrault) i sette fratellini (abbandonati nel bosco dai genitori che non possono più sfamarli) finiscono nella casa di un orco che vuole ucciderli per allestire un pranzo per sè e per un paio di amici, orchi anche loro. 








G. Doré: L'orco per errore uccide le sue sette figlie.



Similmente a Pollicino, anche Hansel e Gretel vengono abbandonati nel bosco a cagione della carestia, e approdano alla casa di una strega, tutta fatta di cose da mangiare. E' curioso come, nelle versioni italiane, la casetta venga definita alle volte di cioccolata, alle volte di marzapane o di pampepato. Gli illustratori si sono sempre sbizzarriti nel disegnarla, facendola appettitosa, multicolore, ricoperta di biscotti e caramelle. In genere si tratta delle illustrazioni più attraenti fra quelle del mondo delle fiabe classiche. Invece la versione originale dei fratelli Grimm parla semplicemente di casa fatta di pane, con il tetto fatto di ''Kuchen'', termine un po' generico che indica una focaccia o una torta, e i vetri delle finestre fatti di zucchero sottile.

 

Scott Gustavsson
A proposito di questa fiaba, Georg Osseg, una sorta di archeologo, negli anni '60 dello scorso secolo compì una serie di indagini molto particolareggiate. Nella prima trascrizione fatta dai Grimm riconobbe un particolare dialetto tedesco. Credette dunque di identificare la zona dove la fiaba era nata, addirittura il bosco dove si diceva avesse abitato una strega. Osseg fece degli scavi, trovò una vecchia casetta risalente al tempo della Guerra dei Trent'anni, con tre forni. Rinvenne ciò che restava del cadavere di una donna dentro uno dei forni, e persino la ricetta di un dolce. Infine nell'archivio della vicina città rinvenne anche un vecchio documento riguardante un processo di stregoneria: Katharina Schraderin, apprezzata pasticcera, forniva varie versioni di pampepato alle corti di Fulda e Magonza. L'invidioso pasticcere Hans Metzler cercò senza successo di corteggiarla per carpirle la ricetta. Infine, insieme alla sorella Greta, la denunciò per stregoneria . L'accusa era di fabbricare dolci diabolici per attrarre e uccidere gli uomini che riusciva a portarsi in casa. La presunta strega fu catturata, torturata, processata e infine assolta. Poco dopo però fece la fine della strega della fiaba: Hans e Greta Metzler la strangolarono e ne bruciarono a mezzo il cadavere. Per questo omicidio non vennero nemmeno processati. Tutta la vicenda ricca di particolari e prove, viene narrata in un interessante volumetto scritto da Alberto Mari: Il posto delle favole, per i tipi di Stampa alternativa.
La ricetta rinvenuta nel sito è stata sperimentata ottenendo in pratica il tradizionale Pampepato di Norimberga. 
(Tuttavia vi confesso che non sono sicura che la 'vera' storia di Hansel e Gretel non sia una bufala.)


Pampepato di Norimberga:
Sbattete 4 uova con 225gr di zucchero, vaniglia e un pizzico di sale fino ad ottenere un composto spumoso. Unite a cucchiaiate 250gr di farina mescolata con 1 cucchiaino colmo di lievito chimico.
Aggiungete 225gr di mandorle tritate, la buccia grattata di un limone, 90gr di cedro e arancia canditi e una punta di coltello per sorta di spezie in polvere: cardamomo, pepe, cannella, garofano. 
Spalmate il composto su ostie da pasticceria in uno strato di almeno 1cm. Potete farli del formato che preferite, ma lasciate uno spazio al bordo dell'ostia di circa 1cm, perchè il composto cuocendo si allarga. 
Infornate a 180° per circa 30'. Glassateli ancora caldi con zuccero a velo setacciato lavorato con acqua di rose
Le veriazioni sono infinite: potete usare metà mandorle metà nocciole oppure noci, potete aggiungere cacao all'impasto, glassare con cioccolato fuso e quant'altro preferite. 

Nella fiaba di Hansel e Gretel inizialmente la strega finge di essere buona. Li fa entrare e li rifocilla offrendo latte, frittelle, mele e noci. Le frittelle del testo italiano sono i 'pfannkuchen' nel testo originale tedesco, una sorta di pancakes, ma più sottili.


Pfannkuchen:
Mescolare con uno sbattitore elettrico 250gr di farina, 3 uova, 1/2 l di latte, 1/2 cucchiaino di sale, 1/2 cucchiaino di lievito vanigliato. Lasciar riposare per 20'.
Ungere leggerissimamente una padella antiaderente, scaldarla sul fornello, versarci un piccolo mestolo della pastella preparata, muovere la padella per ricoprire bene il fondo, girare il pfannkuchen con una paletta, cuocere dall'altro lato e metterlo su un piatto. Continuare sino ad esaurimento della pastella.
Rosolare velocemente delle fettine sottili di mela in una noce di burro, cospargerle di zucchero, poi usarle per farcire i pfannkuchen. Cospargere di gherigli di noce e servire.


E' frequente nelle fiabe la presenza di un camino con un paiolo. Ad indicare la sua profonda miseria, solo Geppetto ne è privo, e si è accontentato di dipingerne l'immagine sul muro. 
Il paiolo pare che venisse fatto sobbollire tutto il tempo. In effetti in tutta Europa la pentola presente anche nelle case più modeste era appunto il paiolo, dove cuoceva la zuppa. Vi si buttava dentro acqua e tutto ciò che capitava: ciò che si raccoglieva nell'orto, frutta, verdura,  torsoli, bucce, erbe raccolte nei campi, radici, bacche, avanzi scartati da famiglie più ricche quali ossa, e, se si era fortunati, anche cotenne. A fine giornata qualunque cosa ci fosse finita dentro, la lunga cottura aveva ammorbidito e amalgamato il tutto. 
Per contro nelle fiabe appaiono anche ricchi banchetti, per festeggiare matrimoni principeschi, o come premio per i personaggi più fortunati.



 Pensiamo per esempio alla fiaba de Il tavolino magico, l'asino d'oro e il randello castigamatti (Grimm): alle parole ''-Tavolo mio apparecchiati!- ecco il bravo tavolino coprirsi di una linda tovaglietta, (...) e vassoi di lesso e d'arrosto quanti ce ne potevan stare e un bicchierone di vino rosso...'' , dove l'apparizione della carne simboleggia la ricchezza.











Ugualmente ne La Bella e la Bestia (di Madame Leprince de Beaumont) l'affamato babbo di Bella, arrivato in casa della Bestia e trovando una tavola imbandita, pur con qualche rimorso si mangia un pollo arrosto in due bocconi. 






G. Doré
 In Enrichetto dal Ciuffo (Perrault) la protagonista assiste ai preparativi per le sue nozze: ''La terra si aprì in quel momento, ed ella vide sotto i suoi piedi una gran cucina piena di cuochi, sguatteri e ogni sorta di gente necessaria per allestire una grande festa. E di lì uscì fuori una schiera di venti o trenta rosticcieri, che andarono a piantarsi in un viale del bosco, intorno a una lunghissima tavola, e tutti colla ghiotta in mano e la coda di volpe dietro l'orecchio si posero a lavorare a tempo di musica...''. Anche qui la carne la fa da padrona. Per la cronaca, ciò che Carlo Collodi traduce con ''ghiotta'' (che in italiano è la leccarda che si mette sotto l'arrosto per raccoglierne i succhi) nel testo francese è ''lardoire'', ossia il ferro per bucare la carne e lardarla. Le code di volpe invece erano usate per spennellare la carne col grasso che ne colava.
Nella fiaba I Tre Cedri (dal Pentamerone di Gian Battieta Basile, in altre versioni si tratta di melarance) un principe si taglia un dito con un coltello mentre si serve di ricotta. La vista del suo sangue rosso sulla ricotta candida lo fa cadere preda del desiderio di sposare una fanciulla bianca e rossa. Avendola cercata attraversando mille paesi e tante avventure che non sto a dirvi, finalmente la trova: ''una fanciulla tenera e bianca come una giuncata, con una riga di rosso, che sembrava un prosciutto d'Abruzzo o una soppressata di Nola.''. Purtroppo la bella sposa viene sostituita da una schiava negra imbrogliona. Tuttavia si procede ugualmente ai preparativi per le nozze: ''i cuochi spennavano papere, scannavano maialini, scuoiavano caprette, lardellavano arrosti, schiumavano pignatte, trituravano polpette, farcivano capponi e preparavano mille altri ghiotti bocconi'' e disgraziatamente in questo trionfo proteico finisce anche la colombella bianca nella quale la sposa vera si era trasformata. Ciononostante, grazie ad un complicato escamotage, ella rinascerà e sposerà il principe.


Ho parlato in un altro post della fiaba La Pappa Dolce (Grimm). Il pentolino magico cuoce una specie di porridge dolce di miglio . Nella versione inglese si parla infatti esplicitamente di porridge. Facilissimo riprodurlo (non per i protagonisti della fiaba che non avevano più nulla da mangiare).



Porridge:
 Si tratta di far bollire un cereale a scelta (tritato o ridotto in fiocchi) nell'acqua o nel latte con un po' di sale. Gli inglesi usano tradizionalmente dei fiocchi d'avena. Poi si può procedere come si vuole, aggiungendo zucchero, panna, frutta fresca o secca etc. Presumibilmente nella pappa della fiaba c'era solo zucchero, e ciò era sufficiente per fare festa. 

Nella versione russa si parla di каша (kasha) e di kása in quella ungherese. 


Kasha dolce russa:
Potete usare il miglio o un altro cereale a scelta, anche riso se volete. Fatelo cuocere in abbondante acqua salata. Dopo qualche minuto di bollitura si getta via l'acqua in eccedenza e si termina di cuocere nel latte. Si condisce a piacere con burro e zucchero (talvolta si usa anche marmellata).
La kasha si usa anche come contorno per piatti di carne, in questo caso in versione salata.



Poichè non ho mai amato particolarmente la carne, ciò che nelle fiabe mi pareva più appettitoso era una parola che ricorreva spesso: focaccia. Non sapevo di preciso di che si trattasse, ma l'ho sempre genericamente immaginata come un pane dolce. In Cappuccetto Rosso (Perrault, traduzione di Carlo Collodi) la mamma dice alla bimba: ''Va' un po' a vedere come sta la tua nonna, perchè mi hanno detto che era un po' incomodata: e intanto portale questa stiacciata e questo vasetto di burro''. Perrault usa il termine ''galette'', spesso confusa con la crêpe. In questo caso appare evidente che si tratta di tutt'altro. Presumo che ciò che più si avvicina alla galette di Cappuccetto Rosso sia la galette au beurre tradizionale bretone. La ricetta è facilissima.

 Galette au beurre:
Amalgamare 3 tuorli d'uovo con 250 gr di burro a temperatura ambiente, 250gr di zucchero e un grosso pizzico di sale. Unire poco per volta 400gr di farina mescolata con un cucchiaino di lievito vanigliato.
Imburrare e infarinare uno stampo da crostata, stenderci sopra la pasta col palmo della mano. Appiattire bene e spennellare con un tuorlo d'uovo. Col manico di una posata incidere leggermente delle righe incrociate.
Mettere in forno già caldo a180° per 20-25' senza perderla di vista.

Penso che il dolce che Pelle d'Asino (Perrault) prepara per il suo principe sia praticamente la stessa cosa. L'autore lo chiama una volta ''gateau'', un'altra ''galette''. Pelle d'asino impasta velocemente fior di farina, sale, burro e uova fresche. Solo lo zucchero non viene nominato, ma la parola ''gateau'' si riferisce normalmente ad un dolce.

Per queste poche ricette ho cercato di usare un minimo di rispetto filologico. Sarebbe gradito se a qualcuno venissero in mente altre fiabe legate al cibo da cui poter trarre ricette, e me le segnalasse.


FINE


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giovedì 12 ottobre 2017






TREMOTINO
(Rumpelstiltskin) 


Questa fiaba fu raccolta nella Germania dell'800 dai fratelli Grimm, ma come tutte le fiabe è antichissima. Il nome del personaggio che dà il titolo alla storia, in Germania Rumpelstilzchen, da rumpelstilz, è il nome che nella mitologia popolare era dato ad una sorta di spirito domestico cattivo che faceva fracasso sbattendo e raschiando assi di legno, similmente al poltergeist. Vi sono versioni di questa fiaba praticamente in tutte le culture, con qualche differenza. La ritroviamo dall'Europa del nord a quella dell'est, fino alla Russia e all'Arabia. Il nome cambia da paese a paese, in Italia si chiama Tremotino.
Segue il testo dei fratelli Grimm accompagnato dalle splendide illustrazioni di Paul O. Zelinsky.



C'era una volta un mugnaio che era povero, ma aveva una bella figlia. Un giorno, per caso, ebbe una conversazione con il re, e così, per far colpo su di lui, gli disse: "Io ho una figlia che riesce a filare la paglia in oro." Il re disse allora al mugnaio: "Ma è prodigioso! Se veramente vostra figlia è abile come dite, portatela domani al mio castello, perché voglio metterla alla prova."

Così, il re condusse la fanciulla in una stanza colma di paglia fino al soffitto; le consegnò aspo e fuso e le disse: "Mettiti subito al lavoro. Fila tutta la notte, e se per domattina non avrai trasformato tutta questa paglia in oro, morirai."















 Poi chiuse la porta a chiave, e la povera fanciulla rimase lì da sola, e per la prima volta in vita sua non seppe davvero che fare, poiché non aveva la minima idea di come si facesse a filare la paglia in oro.












Cominciò ad impaurirsi sempre di più, finché scoppiò in lacrime.



















Improvvisamente la porta si aprì, ed ecco che vide un ometto avanzare nella stanza e dire: "Buona sera, signorina mugnaia, perché piangi?" Rispose la fanciulla: "Perché il re mi ha ordinato di filare tutta questa paglia in oro, ma io non ne sono capace." E il nanetto disse: "Se lo faccio io al posto tuo, tu cosa mi darai in cambio?" "La mia collana" rispose la ragazza.











Il nano prese la collana, si sedette presso l'arcolaio e, frr, frr, tirò il filo per tre volte e il rocchetto fu pieno; poi, di nuovo, ripeté l'perazione altre volte, continuando per tutta la notte, finché al mattino tutta la paglia fu filata in oro.

















 Al tramonto tornò il re, e alla vista di tutta quell'oro rimase sorpreso e contento; ma il suo cuore avido non era ancora appagato: rinchiuse la figlia del mugnaio in un'altra stanza tutta piena di paglia, ancora più grande della prima. Le ordinò di filarla tutta in oro entro il mattino dopo, pena la morte.














La poveretta non sapeva che pesci prendere, e pianse; tornò il nano e le chiese: "Che cosa mi dai se io ti filo tutta questa paglia?" "Il mio anello" rispose lei.
















Allora l'ometto prese l'anello, e si rimise al lavoro, e la mattina dopo tutta la paglia era diventata oro. Il re andò in brodo di giuggiole, ma non era ancora pago: per la terza volta condusse la figlia del mugnaio in una stanza colma di paglia e disse: "Adesso mi devi filare tutta quest'altra: se ci riuscirai, diventerai mia moglie." Infatti, pensò: 'anche se è la figlia di un mugnaio, non troverò mai una donna più ricca in tutta la terra." Quando la fanciulla rimase sola, riecco il nano fare capolino per la terza volta, e disse: "Questa volta cosa mi darai in cambio?" "Non ho più niente da darti" rispose la povera infelice. "Allora promettimi, che quando sarai regina, mi consegnerai il tuo primogenito." La figlia del mugnaio pensò di non avere alternative, perciò, non sapendo che altro fare, acconsentì alla richiesta del nano. Quello, in cambio, trasformò per la terza notte tutta la paglia in oro.


Quando il mattino seguente si ripresentò il re, vedendo che la fanciulla aveva ubbidito agli ordini, mantenne la promessa e la sposò.
 Così, la bella mugnaia divenne regina.


















Passò un anno e la regina partorì un bel bambino; ormai non pensava più al nano, ma, improvvisamente, quello apparve nella stanza e disse: "Adesso, regina, dammi ciò che mi hai promesso."
 Terrorizzata, la poveretta cominciò a offrirgli tutte le ricchezze del regno purché non le portasse via il bambino, ma il nano non volle sentire ragioni e rispose: "No, la tua creatura vale per me più di tutto l'oro del mondo." Allora la regina cominciò a gemere e a piangere così forte che l'omino n'ebbe pietà e disse: "Hai tre giorni per scoprire come mi chiamo; se ci riuscirai, ti lascerò il bambino."













E la regina trascorse tutta la notte in piedi, a pensare a tutti i nomi che le vennero in mente. Il giorno dopo, mandò un messaggero tra le terre del reame a raccogliere tutti i nomi che sentiva; quando si ripresentò il nano, ella cominciò a sciorinare diversi nomi, tra cui, Gaspare, Melchiorre, Baldassarre, ed uno ad uno, recitò tutti i nomi che sapeva, ma il nano scuoteva la testa e diceva: "Sbagliato, sbagliato!" Il secondo giorno inviò i suoi fedeli ad indagare tra la gente del villaggio, e quando il nano tornò, gli enunciò tutti i nomi più strani e meno comuni che aveva sentito; "Ti chiami forse Vitello di Montone? O Laccio di Gamba? O forse di ti chiami Gamba di Tricheco?" ma quello continuava a dire: "Non è il mio nome, non è il mio nome!"






Finalmente, il terzo giorno il messaggero tornò e disse alla regina: "Nomi nuovi non ne ho trovati, ma quando fui presso un alto monte ad ovest della foresta, dove trovai una volpe e una lepre a darmi la buonanotte, vidi una casetta, e proprio lì di fronte c'era un buffo ometto che saltellava intorno al fuoco con una gamba sola, che diceva:
«Oggi faccio il pane, domani il tè
poi di corsa a brendere il bebè
Tremotino io mi chiamo
ma la regina non lo sa
il mio nome mai indovinerà,
e il principino mio sarà.»"








Potete immaginarvi la felicità della regina nel sentire il nome esatto. Di lì a poco arrivò l'omino e disse: "Allora, Maestà, come mi chiamo?" "Ti chiami Kunz?" "No." "Allora, Heinz?" "No, no!" "Ci sono: tu ti chiami Tremotino!"















"Te lo ha detto il diavolo!" urlò l'omino, furente di rabbia. E così dicendo, con il piede destro, diede un colpo così forte nel pavimento, che ci crollò dentro fino al petto; poi con entrambe le mani afferrò il piede sinistro e si squarciò a metà.
















Tradotto (dalla versione inglese curata dal professor Ashliman) da Vale76, e pubblicata nel suo blog Parole d'Autore, che vi consiglio.

Come in tutte le fiabe, anche in questa lo scopo è quello di affascinare e spaventare gli ascoltatori facendo correre dei gravi pericoli ai personaggi, caricarli di compiti impossibili, farli sentire sminuiti, e poi mostrare come la virtù, l'impegno, l'utilizzo al meglio delle proprie risorse riescano a cavarli fuori dai guai. Raggiungere la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie capacità (nel caso specifico riuscire a dare un nome al proprio nemico) è la condizione necessaria per riuscire a superare le sofferenze e a ''crescere'', rendendosi indipendenti (sempre nel caso di questa fiaba, liberandosi delle pastoie di un padre e di un marito con eccessive aspettative, e di un nano malvagio).


FINE

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La pappa dolce








venerdì 29 settembre 2017





LA PAPPA DOLCE
 (illustrazioni di Vladimir Konashevich)

 C'era una volta una povera fanciulla pia, che viveva sola con sua madre; e non avevano più nulla da mangiare. Allora la fanciulla andò nel bosco e incontrò una vecchia che già conosceva la sua povertà, e che le regalò un pentolino. 

Doveva dirgli: -Cuoci la pappa, pentolino!- e il pentolino cuoceva una buona pappa dolce di miglio; e quando diceva: -Fermati, pentolino!- il pentolino smetteva di cuocere.
















 La fanciulla lo portò a casa a sua madre.
 la loro miseria e la loro fame erano ormai finite, ed esse mangiavano pappa dolce ogni volta che volevano.










Un giorno che la fanciulla era uscita, la madre disse: -Cuoci la pappa, pentolino!-. Quello fa la pappa ed ella mangia a sazietà; ora vuole che il pentolino la smetta, ma non sa la parola magica. 









Così quello continua a cuocere la pappa, e la pappa trabocca e cresce e riempie la cucina ...

















 




...e l'intera casa, e l'altra casa ancora e poi la strada, come se volesse saziare tutto il mondo, ed è un bel guaio e nessuno sa come cavarsela. 




















Infine, quando una sola casa era ancora intatta, ritorna a casa la fanciulla e dice: -Fermati, pentolino!- e il pentolino si ferma e smette di fare la pappa;
E chi volle tornare in città, dovette farsi strada mangiando. 







Da Fiabe dei Fratelli Grimm.


Si tratta di una delle tante fiabe che hanno come soggetto la Fame, eterno spauracchio della gente comune. E come avviene nella maggior parte dei casi, la fiaba stessa ha la funzione di esorcizzare la paura, grazie all'operato della bambina.
Una piccola spiegazione storico-gastronomica: uno dei piatti più semplici e più antichi consiste nel cuocere in acqua i cereali, spesso tritati o macinati, ottenendo una sorta di zuppa o polenta che può essere densa o brodosa a piacere (la Pappa). 
Nell'Europa centrorientale questo tipo di pietanza prende il nome di ''kasha'', con alcune varianti di grafia e traslitterazione. Col tempo dalla variante più semplice si è passati a piatti più ricchi, con aggiunta di latte, burro o strutto, panna, e anche zucchero nelle varianti dolci.
 I cereali cambiano a seconda di ciò che si coltiva nella zona. In Russia la variante più comune è quella di grano saraceno, ma si può usare di tutto, dal miglio all'avena, al grano ecc. In Inghilterra viene chiamato ''porridge'' e, prima dell'invenzione del dott. Kellogg e dei suoi cereali soffiati, era l'odiatissima colazione di tanti bambini. In Italia è conosciuto più che altro sotto forma di semolino (e in tempi successivi alla scoperta dell'America, sotto forma di polenta di mais).
In Russia è ancora oggi la pietra miliare della cucina, tanto che vi sono moltissimi modi di dire che hanno come soggetto la kasha, come in Italia ve ne sono riguardo al pane o in Cina riguardo al riso. Fra le antiche tribù slave era la pietanza che veniva cotta tutti insieme come segno di pace e di comunione: ''Con lui la kasha non la cuoci'', cioè ''non è una persona con cui puoi metterti d'accordo''. Oppure: ''Dove c'è la kasha ci sono i nostri''. O anche il tale oggetto ''chiede la kasha'', parlando di qualcosa ridotto a mal partito. O ''la kasha sta cuocendo'', intendendo ''qui le cose si mettono male''.
Per completezza vi metto una ricetta di kasha adatta per i giorni di festa.
Si fa stracuocere nel latte (o latte e acqua ) del semolino o un altro cereale pestato. Si aggiungono noci pestate, zucchero, miele, panna, burro. Quando tutto è cotto e amalgamato si serve nel recipiente di cottura (meglio se di coccio), dopo aver spalmato la superficie di marmellata di fragole.

FINE