giovedì 7 agosto 2014





 DESIDERIO DI MITI, ANCHE SCADENTI



 



















Nel 1967 La Domenica del Corriere pubblicò un servizio, corredato di molte foto, intitolato ''Nel covo del bandito''. Il giornalista e il fotografo, dopo complicati e segreti accordi, erano stati portati bendati sul Supramonte, dove avevano potuto intervistare e fotografare il giovane ma già famoso bandito, Graziano Mesina, e la sua banda. Mesina era latitante e si nascondeva in qualche anfratto, fra grotte e boschi. Aveva iniziato la sua carriera di delinquente quando,  giovanissimo, aveva ucciso un uomo per vendicare la morte di suo fratello. Nella sua mente, condizionata dall'ambiente in cui era nato e cresciuto, era pressocchè un dovere: tale infatti era il feroce codice non scritto barbaricino. Nella fantasia popolare dell'epoca, in una Sardegna isolata e depressa, anche al di fuori dei confini della Barbagia un omicidio del genere era, se non giustificabile, quanto meno soffuso da un alone di truce romanticismo. Ci cascò anche Indro Montanelli, il quale considerava Graziano Mesina l'ultimo rappresentante del banditismo sardo del passato. (Peccato che l'uomo ucciso da Mesina fosse risultato poi del tutto estraneo all'omicidio del fratello).



Da molti era considerato un ribelle che combatteva contro un sistema ingiusto (non va dimenticato come in quegli anni l'ordine costituito fosse sempre messo in discussione).
L'implacabile cacciatore di banditi, il corretto e intelligente
poliziotto Antonio Serra, che ben conosceva l'oscuro mondo barbaricino, ebbe a dire in seguito: ''I giornali e la televisione hanno costruito il mito di Graziano Mesina, e ne hanno fatto quasi un eroe romantico. Purtroppo lui stesso ha finito per convincersi di essere quel personaggio, fino a restarne prigioniero.''



Alla connotazione romantico-romanzesca del personaggio contribuirono anche gli innumerevoli tentativi di evasione, e soprattutto le evasioni riuscite, di cui la più rocambolesca fu quella compiuta insieme al suo compagno di prigionia, Miguel Atienza, dal carcere di San Sebastiano, in pieno centro a Sassari.


L'articolo della Domenica del corriere venne pubblicato poco tempo dopo. Esso trasformò Mesina nel  primo bandito ''mediatico'' (vocabolo all'epoca non ancora coniato). Nell'articolo, oltre alla versione dei fatti di Mesina, si racconta la dura vita all'aperto sotto le intemperie, sempre all'erta col rischio di venire traditi o scoperti. Le foto mostrano un giovane Graziano, magro e dotato di un certo fascino, in vari atteggiamenti: dalla toeletta mattutina, alla manutenzione delle armi, o in piedi su una roccia mentre si guarda intorno, armato di fucile, bello, con lo sguardo fiero, novello Robin Hood, Primula Rossa, bandito gentiluomo: ''Non ho mai torto un capello ad un ostaggio'' disse di sè, cosa che fu sempre confermata dai sequestrati. Le foto sono condite dallo splendido sfondo della foresta del Supramonte, dai misteriosi capucci neri dei banditi, e dal viso d'angelo del suo luogotenente Miguel Atienza, biondo con gli occhi azzurri, disertore della Legione Straniera.



Miguel Atienza





















 

Così avvenne un terribile ribaltamento della realtà: la gente l'aveva quasi in simpatia, le ragazzine ritagliarono le sue foto e le incollarono nei diari. Ci si dimenticava di quanto sia turpe il delitto del sequestro di persona, sistema col quale la banda di latitanti si autofinanziava (bisogna infatti tener presente che la vita di un latitante è molto dispendiosa: solo per comprare un chilo di pane si devono pagare il silenzio e la collaborazione di parecchie persone).
Il servizio della Domenica del Corriere suscitò moltissime polemiche: si stava contribuendo a creare il mito: le cotte delle adolescenti per il bandito, oltre che essere l'ennesima dimostrazione che l'adolescenza è davvero una brutta età, fecero preoccupare molti educatori. Ma purtroppo anche altri giornalisti, in quegli anni di ribellione, aggiunsero carne al fuoco. Dappertutto si poteva leggere della 'balentìa', della giustizia barbaricina, della drammaticità e del clima misterioso della Barbagia, delle sue frustrazioni sociali, e così via.

Certamente è vero che Graziano Mesina si è fatto prendere la mano dal personaggio che gli hanno costruito intorno, ma oggi, a distanza di anni, possiamo vedere con quanta criminale superficialità i giornalisti cavalcarono l'onda. E l'uomo, i fatti successivi l'hanno provato, non era certo un personaggio da epopea.

FINE

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