(PAZIENTI ILLUSTRI N°7)
Frida Kahlo, pittrice messicana del XX secolo, grazie alla sua forte personalità e alla carica innovativa, ha ormai raggiunto una totale globalizzazione nonchè una fortuna dilagante. Tutta la sua opera rappresenta narcisisticamente la sua vita scandita dal suo personale dolore; un dolore fisico che non l'abbandonava mai, dovuto alle sue patologie, e un dolore psicologico dovuto ai lunghi periodi di solitudine trascorsi allettata, e agli innumerevoli dispiaceri causati dal pessimo marito. Subì lutti, malattie e traumi, ma li visse sempre attivamente e con lucidità, trovando nell'arte la forza di proseguire. In questo modo malattia, sofferenza, lutti, l'amore per Rivera sono i temi delle sue opere attraverso le quali sublimava e alleviava il dolore.
"Il dolore non è parte della vita, ma può diventare la vita stessa"
"Sono felice solo quando dipingo"
All'età di 6 anni la piccola Frida fu colpita dalla poliomielite, che la rese inferma per molti mesi e compromise il normale sviluppo della gamba destra. Questa rimase più corta e più sottile dell'altra. Si pensa che il vezzo di portare solo lunghe gonne in stile messicano possa esser dovuto a questo, oltre che ad un fatto identitario. Ad aiutarla a superare questo periodo di malattia (e i molti altri che seguirono) ci furono sempre gli affetti familiari, e in particolare il rapporto col padre.
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Gruppo di famiglia con Frida vestita da uomo a sn. |
Fin dall'adolescenza militò nella gioventù comunista, vestendosi come le 'soldaderas', con pantaloni e stivali. Il fidanzato di allora, Alejandro Gomez, era a capo di una banda di ragazzi con idee socialiste.
Nel 1925, un giorno che rincasava da scuola insieme al fidanzato, l'autobus su cui viaggiavano fu travolto da un tram. Morirono quattro persone, Alejandro, sbalzato fuori, rimase illeso, ma Frida venne trafitta dal corrimano del bus: un'asta metallica che la trapassò all'altezza dell'addome fuoriuscendo dalla vagina.
Il suo corpo venne estratto dai rottami e adagiato su un tavolo da biliardo portato fuori in tutta fretta da un bar. Un uomo strappò con decisione la sbarra di ferro dal suo corpo, poi arrivarono i sanitari.
Le ferite erano gravissime: un braccio rotto, tre fratture al bacino, tredici alla gamba sinistra, l'utero perforato, la slogatura e lo schiacciamento del piede destro. Il ricovero fu una lunga tortura che durò tre mesi. Le scoprirono in un secondo tempo anche tre fratture vertebrali.
A fianco: un ex voto su lastra di metallo (in Messico vengono chiamati 'Retablos'), che raffigura un incidente simile a quello avvenuto a Frida. Diego Rivera li apprezzava molto e li collezionava. Questo in particolare fu trovato da Frida e da lei corretto, aggiungendo alla vittima la sua tipica arcata sopracciliare, e la dedica sottostante.
Nel lungo periodo di immobilità che seguì il ritorno a casa (la famosa casa Azul) rimase immobilizzata a letto tra busti di gesso e cancrene. Fu in questo periodo che iniziò a dipingere, grazie ad un complesso trabiccolo ideato dalla madre al quale si poteva appendere una tavola di legno su cui poggiava il foglio da disegno.
Al suo letto venne aggiunto un baldacchino dove era fissato un lungo specchio, in maniera che Frida potesse vedersi e utilizzare se stessa come modello. Fu in questo periodo che dipinse il primo vero autoritratto (primo di una lunghissima serie) che dedicò al fidanzato Alejandro, al quale peraltro scriveva lettere settimanali, quando non quotidiane. Egli infatti, spinto dalla famiglia che voleva allontanarlo da questa ragazza malata e problematica, era in viaggio per l'Europa.
Da una lettera di Frida: "Come vorrei descriverti la mia sofferenza minuto per minuto. Da quando sei partito sono peggiorata e non posso nemmeno per un momento consolarmi o dimenticarti. Venerdi mi hanno messo il busto di gesso e da allora (...) mi sento soffocare, mi fanno tremendamente male i polmoni e tutta la schiena; (...) mi hanno appesa per la testa per due ore e mezza, poi sono rimasta appoggiata sulla punta dei piedi per più di un'ora, mentre asciugavano il busto con aria calda (...) sono stata lì, completamente sola, a soffrire in modo orribile."
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1926 |
Quando Alejandro rientrò in Messico, nel 1927, trovò Frida già ristabilita, allegra, piena di vitalità e di nuovo in grado di camminare, sia pure con difficoltà. Impegnata nella lotta comunista, non mancava di partecipare alla vita intellettuale, gaudente e artistica, mentre il fidanzato si impegnava negli studi; la loro storia terminò.
La gamba resa atrofica dalla poliomielite era più corta dell'altra, e richiedeva un rialzo.
Frida conobbe in quel periodo il giornalista e rivoluzionario cubano in esilio Julio Antonio Mella e intrecciò una profonda amicizia/relazione con la sua compagna, la fotografa Tina Modotti.
L'ambiente scapigliato frequentato dalle due giovani vide con naturalezza questo rapporto.
In quella vita di cene, dibattiti, riunioni di partito e vivaci serate incontrò Diego Rivera, famoso e stimato pittore di grandi murales. L'uomo, reduce da grandi successi, da viaggi a Parigi, Madrid, Italia e Unione Sovietica, dai contatti con tutte le avanguardie artistiche dell'epoca, era in quel periodo impegnato a dipingere un colossale ciclo di affreschi al Ministero della Pubblica Istruzione.
Si trattava di un uomo di rara bruttezza, grasso, con il viso da batrace, ma presumibilmente dotato di grande carisma sia politico che sessuale. Era infatti un seduttore seriale, incurante di legami istituzionali e correttezza morale. Frida gli portò alcune sue opere per averne un giudizio e così iniziò il loro rapporto. Lui aveva già avuto due mogli ed era di vent'anni più vecchio di lei. Si sposarono nel 1929 con grande riservatezza e con abiti non convenzionali. Gli amici furono entusiasti perchè vi vedevano un atto politico, provocatorio, contro la mentalità borghese. I genitori di lei invece furono contrari, ma rassegnati. Dopottutto avevano una figlia invalida che credevano destinata a rimaner zitella. Anzi, il padre disse a Diego: '' Non dimentichi che mia figlia è malata, e tale sarà sempre: E' intelligente ma non è bella, ci pensi bene...''. Ma il babbo, nonostante l'affetto che aveva per la figlia, non vedeva quanto fascino e quanta sensualità ella possedesse. Soprattutto ora che aveva sostituito gli abiti della soldadera con quelli tradizionali, adornandosi di gioielli precolombiani e fiori e scialli multicolori.
Qui a fianco, nel giorno della nozze.
Dopo tre mesi la giovane dovette ricorrere ad un aborto terapeutico perchè la malformazione pelvica susseguente all'incidente le avrebbe impedito di portare a termine la gravidanza, mettendone in pericolo la vita. Fu il primo di tre aborti a distanza ravvicinata.
L'anno dopo, trasferitisi a San Francisco per dei murales commissionati al marito (cosa che causò la rottura col partito comunista messicano, che li accusò di essere al soldo dei ''capitalisti'') Frida cominciò a liberarsi dell'influenza del marito, ad andare in giro per conto proprio, e a dipingere senza la sua supervisione. Anche perchè Diego scompariva anche per giorni interi, intessendo avventure con le sue modelle.
In questo periodo ci fu un riacutizzarsi dei dolori alla gamba e al piede destro, nonchè i dolori alla schiena. Dovette affrontare un nuovo periodo di immobilità.
A posteriori i medici che la ebbero in cura ritennero che in questa occasione e in altre successive, si fosse trattato di un noto reliquato secondario alla poliomielite acuta: la sindrome postpolio. Questa insorge dopo almeno quindici anni dalla polio, con sintomi di debolezza, fatica, dolore muscolare, crampi, artropatie degenerative.
Nel '31 la coppia andò a New York, dove Frida si immerse nella bella vita dei capitalisti americani, pur disprezzandoli, talvolta apertamente, e senza mai abbandonare la sua esotica messicanità.
Nel '32, a Detroit, città molto conservatrice, Frida, così estrosa, si trovò male. Mentre Diego la lasciava sola, assorbito dal suo lavoro, lei si trovò di nuovo incinta. Stavolta il medico a cui si rivolse, le consigliò di portare avanti la gravidanza. Lei rimase indecisa: Diego non era affatto entusiasta, l'aborto era rischioso, il parto lo stesso, il bambino le avrebbe impedito di seguire il marito nei suoi spostamenti...Frida alla fine decise di portare avanti la gravidanza, ma perse il bambino poco dopo, tra emorragie e dolori lancinanti.
Sono di questo periodo alcuni dei suoi quadri più drammatici, che narrano dei suoi incubi, del dolore fisico, e del dolore per la gravidanza mancata.
Il quadro qui sopra, intitolato 'Il letto volante', raffigura Frida sul letto insanguinato dell'ospedale di Detroit. Sei cordoni ombelicali si dipartono dal suo corpo, uno va al feto perduto, uno al suo bacino spezzato, uno ad un macchinario ospedaliero, uno ad un modello anatomico femminile. Il paesaggio circostante rappresenta la fredda e industriale città. Una lacrima netta solca il viso di Frida. Un racconto simbolico della sua esistenza, come la maggior parte dei suoi dipinti.
Un altro lutto andò ad aggiungersi a questo: la morte della madre per carcinoma mammario.
Infine un terzo viaggio a New York, l'avversione per la società statunitense, l'ennesima relazione del marito (stavolta con la sua giovane assistente) e lo struggente desiderio di tornare in Messico la portarono a litigare col marito.
In questo periodo dipinse ''Il mio vestito è appeso là'' (olio e collage), un ironico ritratto della società capitalistica e industriale, con la sua perdita dei valori umani.
Per aver dato ad un operaio il volto di Lenin, nel murale che gli era stato commissionato, Rivera si vide rescisso il contratto, così Frida fu accontentata e la coppia rientrò in Messico.
Era il 1933, e Frida subì il terzo e ultimo aborto. Seguirono due interventi in uno dei quali le furono asportate tre falangi in cancrena dal piede destro.
L'abominevole Diego scelse questo frangente per tradire la moglie con la sorella prediletta, Cristina, appena abbandonata dal marito, che gli stava facendo da modella per due murales.
Frida non potè tollerare questo nuovo dolore e l'umiliazione, si tagliò i capelli, dipinse un quadro drammatico ispirato sia alla sua personale vicenda, che ad un episodio di cronaca nera, e infine sfuggì alla situazione andando a vivere in un'altra casa.
Il dipinto è ispirato ad una truculenta vicenda. Un uomo, per gelosia, aveva trafitto la donna amata con numerose coltellate, devastandone il corpo. Egli dichiarò al giudice: ''Ma era solo qualche colpo di pugnale'', frase che dà il titolo al quadro. Nel volto dell'assassino vi sono i tratti somatici di Rivera, mentre l'unica scarpa presente nel corpo nudo della donna è la destra, come a ricordare l'arto offeso di Frida, con lo stivaletto ortopedico.
Nel 1935 intraprese un viaggio con due amiche durante il quale si innamorò dello scultore Isamu Noguchi. Ciononostante, al rientro dal viaggio tornò a vivere col marito. Ma mentre lui non si preoccupava di nascondere le sue intemperanze, lei scelse di incontrare l'amante di nascosto, finchè una notte Diego li sorprese e lo minacciò con una pistola. La relazione ebbe termine.
Nel 1937 Lev Troskij e la moglie, che erano stati espulsi nel'29 dall'Unione Sovietica, trovarono asilo politico in Messico grazie alla mediazione di Diego Rivera.
La coppia si stabilì nella casa Azul e Troskij si innamorò di Frida. Fu una relazione romantica, di incontri segreti, bigliettini, piccoli stratagemmi. Diego, grande ammiratore di Troskij, non si accorse di niente, ma la moglie Natalia sì. La relazione dovette interrompersi.
Nel '38 Frida fece la sua prima mostra personale a New York, aiutata dal fotografo Nickolas Muray col quale intrecciò un'intensa storia d'amore.
Fu un grande successo, tale da pensare di replicare a Parigi. Ma qui il clima grigio e piovoso era mal tollerato dalla pittrice, così come la lontananza da Muray e tutto sommato anche dal marito verso il quale continuava a sentire una sorta di sacro legame. Inoltre i pittori surrealisti parigini la infastidivano, volendola considerare a tutti i costi come facente parte della loro corrente. Per lei invece non erano che inutili e inconsistenti intellettuali; non solo non si considerava surrealista, ma non accettava alcuna etichetta.
Il successo commerciale della mostra non fu quello sperato. Tornò in Messico ma le sue condizioni di salute si aggravarono, purtroppo in concomitanza con la dolorosa fine della storia con Muray. Si aggiunse, definitivo, il divorzio con Rivera, da lei non voluto, ma subito. Era il 1939.
Risale a quest'anno il dipinto ''Le due Frida''. Esse sono identiche come postura, ma quella in abiti messicani ha il cuore sulla camicia, esposto (alle pene d'amore). Si tiene per mano con l'altra Frida, che indossa un abito di merletto e che ha il cuore riparato nella cassa toracica. Mentre quella in abiti più tradizionali tiene in mano un ritratto di Diego collegato alla vena del cuore, l'altra, elegante nei suoi merletti di Tehuana, tiene una pinza emostatica che blocca il dissanguamento. Sembra evidente la volontà di autonomia e rinascita.
(L'esibizione del cuore, ripetuta in diversi dipinti, va ricondotta probabilmente alla tradizione dei ''santini'' tipo Sacro Cuore, che rendono, in Messico e in altri paesi cattolici, l'immagine molto familiare.)
Ancora di questo periodo è L''Autoritratto con i capelli tagliati''.
Un'infezione alla mano destra stentava intanto a guarire, e nella casa di famiglia, la casa Azul dove era andata a risiedere, era molto sola. In compenso lavorava moltissimo.
Nel '40, a seguito di due attentati a Troskij, di cui il secondo andato a segno, sia Diego che Frida furono accusati di complicità, poichè conoscevano e avevano ospitato in casa l'assassino. Dovettero perciò fuggire ambedue e si riunirono a San Francisco. Qui, in nome della complicità che continuava ad unirli decisero di risposarsi. Frida pose due condizioni: mantenersi da sola coi proventi della propria arte, e nessun rapporto sessuale col marito.
Appena possibile tornarono a vivere nella casa Azul. La salute di Frida peggiorò ancora. Alcuni medici ipotizzarono che oltre alle conseguenze del politrauma subito nel'25, ci fosse anche un problema di spina bifida in forma leggera. Cioè una breve interruzione dell'arco vertebrale, sostituito da tessuto fibroso. Le conseguenze negli anni possono essere di tipo artrosico con dolore ingravescente. Questo, insieme agli esiti della polio, con l'arto più corto, e all'incidente stradale con fratture delle vertebre lombari, avevano reso la sua colonna insufficiente, con dolore costante e motilità ridotta.
Fu in questi anni che, non essendo più sufficienti i busti leggeri in cuoio, cominciò ad usare una serie di busti gessati (che lei usava decorare) e dei periodi di trazione.
Dovendo rimanere per lunghi periodi allettata tornò ancora utile il marchingegno inventato dalla madre all'epoca dell'incidente.
Lo scopo di busti e trazioni era antigravitario, cioè quello di sostenere la colonna per alleggerire la muscolatura e limitare il dolore da fatica muscolare. Ovviamente una conseguenza era però anche quella di rendere la muscolatura sempre più ipotrofica, oltre ad una limitazione dei movimenti atti a condurre un'esistenza normale.
Tuttavia il dolore non le dava requie. In base alle conoscenze odierne si è ipotizzato che soffrisse di una fibromialgia conseguente al trauma dell'incidente, cioè che le fibre nervose stesse fossero danneggiate, e che ci potesse essere un'alterata elaborazione del segnale a livello centrale, tale da trasformarlo in percezione di dolore. Il che spiegherebbe come mai nessun antidolorifico fosse efficace. Frida arrivò alla morfina e all'alcol e ne abusò senza ottenere i risultati sperati. Lei stessa disse: ''Ho bevuto perchè volevo annegare i miei dolori, ma ora queste dannate cose hanno imparato a nuotare''.
Un dipinto di puro dolore e contemporaneamente una sorta di esorcismo è ''La colonna spezzata''.
Frida si ritrae in lacrime e nuda (aggiunse il lenzuolo solo in un secondo tempo) disperata e trafitta di chiodi ad indicare il dolore senza requie. Al centro della cassa toracica aperta vi è una colonna ionica danneggiata come danneggiata era la sua schiena, non più in condizioni di sorreggere il corpo.
Nel'46 si sottopose ad un difficile intervento durante il quale le saldarono quattro vertebre con una placca metallica. La speranza era quella di attenuare i fortissimi dolori. Purtroppo il decorso post operatorio non fu quello sperato, probabilmente sopraggiunse un'osteomielite. I dolori ripresero poco dopo, e questo quadro ne è la perfetta raffigurazione:
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1946: ''Sono un povero cervo'' |
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1946, dopo l'intervento |
Parallelamente alle sofferenze di quegli anni ci fu in compenso un successo a livello mondiale, esposizioni internazionali, commissioni di opere, e l'incarico come insegnante presso la scuola di pittura e scultura del Ministero della pubblica istruzione. Qui Frida sedusse gli studenti col suo fascino e con un metodo di insegnamento sperimentale.
Nel 1950 subì un lunghissimo ricovero di 9 mesi, durante il quale affrontò sette interventi: scrisse: ''Il dottor Farrill mi ha salvata, mi ha ridato la gioia di vivere. Sono ancora seduta su una sedia a rotelle e non so se potrò riprendere presto a camminare. Devo portare un busto di gesso, una pena terribile, ma mi aiuta a reggere la spina dorsale. Non ho dolori, ma sono sempre stanchissima (...) spesso sono disperata (...) tuttavia ho ancora voglia di vivere''.
Come ringraziamento dipinse un autoritratto col ritratto del dottor Farrill, nello stile degli ex voto, dove la tavolozza è sostituita dal suo cuore.
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1951: autoritratto col dr. Farrill |
Nel 1952 si concluse la sua storia d'amore col pittore Joseph Bartoli, forse la sua relazione adulterina più importante. Ormai le sue condizioni fisiche erano tali che l'amore e il sesso con un uomo venivano relegati in secondo piano. In questo periodo, in parte per necessità di assistenza, in parte per inclinazione, si circondò ed ebbe rapporti soprattutto con donne.
Nel 1953, dopo un doloroso intervento di trapianto osseo, Frida presenziò alla sua mostra personale a Città del Messico, sdraiata su uno scenografico letto a baldacchino installato nella sala: il successo fu enorme.
Nello stesso anno, si dovette amputare la gamba destra ormai in cancrena. Era stata curata fin dal 1936 per le ulcere alle dita del piede, probabilmente di natura vascolare, con infezioni sovrapposte. Alcune falangi erano già state sacrificate anni prima. Dopo l'amputazione le fu applicata una protesi (a fianco) e gli amici continuarono a sperare. Lei invece tentò un paio di volte il suicidio, finchè mori un anno dopo, nel '54, per una polmonite trascurata.
Le ultime parole scritte sul suo diario furono: ''Attendo con gioia la mia dipartita, e spero di non tornare mai più''
FINE