lunedì 22 settembre 2014



 CLAUDE MONET E LA CATARATTA
(PAZIENTI ILLUSTRI)



Il ponte giapponese in una versione del 1899

Claude Monet, uno dei maggiori interpreti dell'arte impressionista, ci ha lasciato delle opere stupende. Nel dipinto qui sopra il ponte giapponese ci appare definito da pennellate leggere e colori delicati ed eleganti.  Dopo i sessant'anni, cominciò lentamente a cambiare il suo stile. Le sue opere divennero più confuse, quasi astratte; le pennellate più spesse, le ombre più scure, e la tavolozza perse via via i colori più freddi, gli azzurri e i bianchi. Le tinte predominanti diventarono l'arancio, il marrone, il porpora scuro, mentre la luminosità che aveva sempre caratterizzato le sue opere, si abbassò sensibilmente.
 
1900

L'amatissimo giardino di Giverny pareva aver perso i suoi colori e i suoi contorni. Tutto era pervaso da nebbia. Cos'era successo? Una cosa piuttosto comune: una cataratta brunescente all'occhio destro, e una di minore entità a sinistra. La diagnosi fu fatta nel 1912. Dopo il 1915 la situazione era ulteriormente peggiorata. 

Il ponte giapponese, iniziato nel 1918 e completato dopo l'intervento di cataratta
I verdi e i blu scomparvero quasi completamente dalle sue tele, mentre aumentavano i gialli e i rossi. Monet guardava ormai il mondo attraverso un cristallino ingiallito e scuro, che falsava la sua percezione dei colori e dei giochi di luce e ombra.

questa versione è stata iniziata poco prima dell'intervento, e completata solo nel '25

 L'artista la prese male ed entrò in una fase di depressione che lo spinse ad affrontare l'intervento all'occhio destro nel 1923. L'intervento all'epoca (e così rimase per buona parte del '900) consisteva nell'asportazione del cristallino (afachia chirurgica). Ci si liberava così della lentina che costituiva il fastidiosissimo filtro giallo. Ma senza la lentina, o cristallino, praticamente non ci si vedeva più. Bisognava allora sopperire con una grossa lente in vetro. Ma  questa grossa correzione ad un solo occhio e non all'altro, provocava vertigini, diplopie e vari disturbi. Monet avrebbe dovuto farsi operare anche a sinistra, o escludere con una benda l'occhio sinistro dalla visione. In più l'improvvisa privazione del ''filtro giallo'' con cui aveva convissuto tanti anni fu un piccolo shock. Tardò molto a riabituarsi alla visione dei blu e dei verdi. Continuò a lamentarsi fino all'ultimo che il verde era molto più verde di prima della malattia, e lo stesso poteva dirsi del blu.


 

Nella versione qui sopra, dipinta nel 1926, sono riapparsi a profusione i blu, ma il ponte è pressocchè scomparso. La visione è talmente confusa che si può pensare sia stata dipinta senza la lente di correzione all'occhio operato, ossia con la ricchezza di colori dell'occhio destro e con la ridotta definizione dell'occhio sinistro, ancora con la cataratta, e del destro privo di lente.

Possiamo vedere anche la differenza fra le ninfee dipinte da Monet quando aveva ancora gli occhi sani: luminose, ricche di ombre e riflessi, che variano a seconda dell'ora e della luce:


1898

1903

1905















 


...e le ninfee piatte, prive di riflessi e profondità, dipinte di blu in modo artificioso (perchè Monet, pur non percependolo, sapeva esserci del blu) di quando ormai la cataratta era avanzata:

1916

1915
Qui sotto una delle ultime opere, dipinte dopo l'intervento di cataratta, quando l'artista aveva a suo modo superato i disagi dell'intervento, sembrava possedere di nuovo una tavolozza di colori normale, ma non aveva però recuperato l'acuità visiva. La soluzione definitivamente scelta fu quella di una pittura quasi astratta.



1924: La casa dell'artista vista dal giardino delle rose
Claude Monet mori pochi anni dopo, nel 1926, di un carcinoma polmonare diagnosticato 6 mesi
prima.

FINE

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