sabato 11 giugno 2016





AI TEMPI DI DICKENS


Gustave Doré: Dudley Street Seven Dials


 Nell'800, nell'Inghilterra vittoriana della rivoluzione industriale, si toccò l'apice del fenomeno dell'inurbazione, uno sconvolgimento epocale ben illustrato nei romanzi di Charles Dickens, i quali attraversano quasi un secolo della storia inglese. 
Nelle campagne si cominciavano ad introdurre le macchine agricole che velocizzavano il lavoro e richiedevano meno mano d'opera. I proprietari terrieri dunque, mandavano via i contadini. Chi non si poteva permettere le macchine, cioè i piccoli proprietari, non reggeva la concorrenza e cedeva le terre ai più ricchi. E tutti coloro che restavano senza lavoro si riversavano nelle città, sperando di trovare impiego nelle industrie.
Ma se la vita in campagna era dura, molto di più lo era quella in città e il lavoro in fabbrica.



  Londra e le altre città non erano adeguate al rapido aumento della popolazione. La conseguenza fu una forte crisi degli alloggi, e l'occupazione degli scantinati che erano in genere bui, umidi e privi d'aria, spesso invasi dai liquami delle case sovrastanti. La domanda di alloggi era tale che nei caseggiati si cominciò a dividere gli appartamenti in minuscole unità abitative da affittare; si crearono così dei veri e propri alveari brulicanti di umanità. Edifici fatiscenti, tetti che facevano acqua, muri marcescenti, piccole stanze dove si abitava insieme, talvolta anche più famiglie. Da scantinati ed alveari abitativi emanava un fetore insopportabile che si diffondeva nelle strade, dove erano sterco, liquami e rifiuti d'ogni genere.

Questo proletariato urbano poverissimo in parte trovò impiego nelle fabbriche in condizioni simili alla schiavitù, in parte dovette ingegnarsi a spravvivere. Nacquero allora dei nuovi lavori: lo spazzino, per ripulire almeno le arterie cittadine più importanti; lo straccivendolo; l'acchiappatopi; il raccoglitore di ossi; il raccoglitore di feci canine, che rivendeva il suo prodotto alle concerie che ne sfruttavano le proprietà alcaline; e ovviamente i mendicanti e i borseggiatori. 
Poichè i quartieri poveri erano un serbatoio inesauribile di ragazzini abbandonati a se stessi, spesso orfani, vi erano dei loschi personaggi che li radunavano e, in cambio di un tozzo di pane, li tenevano al proprio servizio obbligandoli a fare i mendicanti, i borseggiatori o, fintanto che erano piccoli, gli spazzacamini.


La diffusione del lavoro di spazzacamino tra i bambini più piccoli (l'età media era di 6-7 anni sebbene i più piccoli iniziassero a lavorare già all'età di quattro anni), fu dovuta al fatto che, a causa della conformazione dei camini, la pulizia di questi ultimi non era agevole per i lavoratori adulti; spesso quindi si ricorreva ai bambini per la loro manutenzione. La figura del piccolo spazzacamino dalla faccia annerita dal fumo, con la lanterna e i suoi atrezzi, divenne sempre più diffusa fino ad arrivare a essere considerata una vera e propria figura pittoresca del paesaggio urbano. Nel 1864 venne fissato il limite di età minima necessaria per svolgere tale lavoro a dodici anni. Fu necessaria però la morte per soffocamento del piccolo spazzacamino di dodici anni George Brewster, nel 1865, affinché il Parlamento imponesse espressamente il controllo da parte della polizia sui padroni degli spazzacamini-bambini. Erano comunque frequentissimi i casi di ferite da sfregamento, le ustioni, l'asma e altre patologie polmonari.

Chi non riusciva a trovare lavoro (o lo perdeva a seguito di una malattia) finiva inesorabilmente in una workhouse, temibile ricovero di mendicità dove le condizioni di vita erano intenzionalmente durissime.
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 Uomini e donne venivano separati (dunque le famiglie divise); si dormiva in lunghi stanzoni senza alcuna comodità, talvolta per terra; le preghiere erano obbligatorie; il lavoro era pesante, come spaccare le pietre, o tediosamente ripetitivo come disfare vecchie corde di canapa per farne stoppa, o girare eternamente macine del grano.


Gustave Doré. In una workhouse, lettura della bibbia prima di addormentarsi
  La miserabile paga era costituita da gettoni da spendere all'interno dello stesso ricovero. Il pasto era in genere una pappa d'avena che si doveva consumare in silenzio. 
Finivano nelle workhouse anche le ragazze madri, le mogli abbandonate, gli alcolizzati, gli orfani e persino i malati mentali e gli invalidi. 

Donne di una workhouse


G. Doré. Fila per poter dormire in un ricovero

 L'alternativa di chi non si voleva arrendere a finire nelle workhouse era una vita terribile che non poteva durare a lungo: si trattava di vivere per strada ed eventualmente passare la notte in qualche ricovero, che però era aperto solo nella stagione più fredda. Inoltre, per trovare posto in uno di questi ricoveri bisognava mettersi in fila fin dal pomeriggio; ma se si stava in fila non si poteva andare in cerca di un lavoro (per esempio dei docks come scaricatore, o altro). Quindi intere famiglie, mamma, babbo e bambini erano costretti a passare la notte all'addiaccio senza nemmeno potersi riposare: infatti, essendo proibito il vagabondaggio, di notte passavano i vigili che facevano sgomberare chi si faceva trovare seduto su un gradino o su una panchina. 






G. Doré
 Come si evince dal terribile reportage che fece Jack London ne ''Il popolo degli abissi'', questi disgraziati erano costretti a camminare tutta la notte salvo trovare qualche posto libero sotto un ponte, e la mattina, mentre il padre andava a cercare un lavoro, il resto della famiglia poteva finalmente assopirsi, o elemosinare per avere da mangiare. 



Le spaventose condizioni igieniche dei quartieri poveri rendevano questi luoghi ideali per il diffondersi di epidemie. Frequentissime quelle di tifo e colera, mentre tubercolosi e polmonite erano endemiche. Ma si moriva molto spesso anche di semplice denutrizione. La situazione degli ospedali era assolutamente inadeguata, e la mortalità molto più elevata rispetto alle cure a domicilio. Fu in quel periodo infatti, che iniziò l'opera della riformatrice ospedaliera Florence Nightngale.

Mary Smith fu l'inventrice della sveglia con la cerbottana
Chi invece trovava lavoro nelle fabbriche stava appena meglio. La giornata incominciava con una sveglia antelucana (un servizio che alcune persone facevano a domicilio dietro il pagamento di circa 6 pence a settimana, bussando alle finestre), ci si avviava in massa agli stabilimenti, e si lavorava per un totale di 12 o più ore al giorno con mezz'ora di pausa per colazione e per pranzo. C'erano uomini, donne e bambini a partire dai 6-7 anni di età. 












 







I bambini erano molto utili perchè potevano infilarsi anche negli spazi più angusti per esempio sotto i macchinari tessili per la manutenzione, o per riannodare con le loro piccole dita i fili spezzati. La disciplina era mantenuta dai sorveglianti con frequenti punizioni pecuniarie e corporali.
A seguito delle lotte di alcuni riformatori, nel 1833 si vietò l'impiego di bambini al di sotto dei 9 anni, e si stabilì per loro un tetto massimo di 9 ore giornaliere più due di scuola, senza turni di notte. 






L'enorme produzione tessile consentì il diffondersi del tessuto di cotone e fu peraltro un passo avanti nella qualità di vita di tutti, essendo più facile da lavare e asciugare della lana e più economico. L'uso della camicia sotto gli abiti fu un passo avanti per l'igiene personale e contemporaneamente ci fu un maggiore consumo di sapone. 


Disgraziatamente l'introduzione dell'illuminazione a gas negli opifici allungò fino a 16 ore i turni di lavoro degli adulti fino a renderli insostenibili, tanto che le industrie licenziavano i lavoratori giunti ai 30-35 anni di età, perchè ormai incapaci di reggere. Cosa che spingeva le famiglie a prolificare, nel tentativo di sopravvivere con l'aiuto di nuove braccia.





 
Salvo poi talvolta, davanti alla mancanza di impiego magari per la chiusura di una fabbrica, decidere di vendere qualche figlio trovandosi nell'impossibilità di mantenerlo. 


Tipico slum costruito nei pressi di una fabbrica

L'unica consolazione in questa tristissima situazione era la birreria o lo spaccio di alcolici, sicchè l'etilismo era molto diffuso, e non essendoci limiti di età per la vendita, si iniziava da bambini.

Diffusissima era anche la prostituzione: la necessità (e non certo il vizio, come la buona società credeva, o fingeva di credere) spingeva le giovanissime (talvolta prima dei 15 anni) a vendersi per la strada con tariffe variabili da mezza a una ghinea. 
In questa foto del 1871 una prostituta bambina (10-11 anni) al quarto mese di gravidanza.
 Lo sfruttamento della forza lavoro mandato avanti con metodo esclusivamente utilitaristico, produsse generazioni di persone malate, malformate, simili ad animali, divise dalla famiglia e dunque prive del senso della medesima, rinchiuse per tutto il giorno a lavorare in modo monotono e ripetitivo, ripetendo perennemente gli stessi gesti, e dunque private del senso del tempo, del divenire delle stagioni. Si arrivò ad un vero disfacimento fisico e morale.


Parallelamente a questa situazione vergognosa, l'Inghilterra fu anche al centro di grandi progressi scientifici quali l'illuminazione a gas (con un retro della medaglia, come abbiamo visto) o la costruzione delle ferrovie e il miglioramento di tutti i trasporti, il telegrafo, nuove macchine a vapore etc.

1851: Esposizione Universale a Londra, Crystal Palace

 Insomma, un'epoca contradditoria di cui Dickens parla diffusamente. Egli era assai sensibile alle ingiustizie sociali ma, come tutti i suoi contemporanei, fiducioso nel progresso. Aveva conosciuto gli aspetti peggiori dell'epoca vittoriana. Suo padre, benchè di ceto sociale medio, era finito in prigione per debiti. 

G. Doré (Durante l'ora d'aria ai prigionieri era fatto divieto di parlare)
 Solitamente chi finiva in prigione, che fosse per debiti o per omicidio, veniva trattato in modo disumano: promiscuità, sudiciume, topi e pidocchi, nerbate, carcerieri che si facevano pagare per acqua e vitto. Papà Dickens ne uscì solo perchè ricevette una fortunata eredità.
Charles visse sulla propria pelle il lavoro in fabbrica (nel suo caso, di lucido da scarpe), il fango, la fuliggine, la sporcizia e la disperazione dei diseredati, e da questo nacquero i toni drammatici e la tristezza che permea molte delle vicende dei suoi romanzi.




Nel reportage di Jack London cui ho accennato prima (per scrivere il quale l'autore si travestì e visse per strada come i diseredati di cui voleva studiare la situazione) appare chiaro come l'autore considerò il progresso tecnologico nè più nè meno che un regresso, nel quale l'aristocrazia aveva stabilito vergognosamente di vivere sfruttando gli 8 milioni di britannici che facevano la fame, per di più dando loro un minimo di istruzione in stile militaresco (e qui vedi per esempio il racconto di Dickens in ''David Copperfield'' sui sistemi educativi in uso nelle scuole) grazie al quale gli si insegnava più che altro ad obbedire all'autorità, senza acquisire capacità di raziocinio.
Le istituzioni per lungo tempo nulla fecero per migliorare la situazione, come Dickens denuncia duramente soprattutto in ''Oliver Twist'' e ''Tempi difficili''. Finchè l'esplosione demografica e la situazione di emarginazione dei ceti poveri divenne tale che non si potè più fingere di non vedere il lato oscuro della rivoluzione industriale.


Gustave Doré. Abitazioni operaie a Londra sotto la ferrovia
Grazie all'iniziativa di alcuni singoli si fondarono delle case per ragazzi indigenti, in cui si forniva istruzione oltre che assistenza; si formò l'Esercito della salvezza e si mosse l'opinione pubblica, tanto che alla fine anche il governo dovette intervenire istituendo dei servizi sanitari, migliorando rifornimenti idrici e sistemi fognari e migliorando anche l'istruzione pubblica.


FINE

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