L'ARCHITETTO VISIONARIO
Roma. Ingresso al quartiere Coppedè |
Fra il 1916 1 il 1926 (con un'interruzione durante la Grande Guerra) l'architetto Gino Coppedè costruì a Roma un piccolo quartiere, situato fra piazza Buenos Aires e via Tagliamento. Costituito dalla piccola piazza Mincio e da quattro isolati, è formato da 18 palazzi e 27 edifici, tra palazzine e villini, ed è conosciuto semplicemente come Quartiere Coppedè.
Chi si avventura fra questi edifici viene letteralmente investito a valanga da una profusione ornamentale, un'esperienza mozzafiato di abbondanza, un incubo luminoso di illusioni fantastiche, di sterminati tesori che non si finisce di scoprire.
Sotto l'arco di ingresso al quartiere vi è un lampadario di ferro battuto.
Subito oltre l'arco si trova piazza Mincio, con la Fontana delle Rane.
Fa da sfondo il Villino delle Fate.
Nella Fontana delle Rane fecero il bagno vestiti (e probabilmente ubriachi) i Beatles alla fine del concerto al Piper, che si trova lì vicino. Era il lontano 1965.
Gino Coppedè (1866-1927) visse nel secolo scorso, ma rimase con la testa e il cuore nel secolo precedente, anzi, in quelli più remoti della storia. Opponendosi alla grigia piattezza umbertina sviluppò uno stile eclettico tutto suo, bizarro, stravagante, eccentrico eppure gradevole e fuso in un unicum armonioso.
Il suo surreale linguaggio decorativo si compone di decorazioni lussureggianti, sia statuarie che pittoriche, che movimentano le facciate asimmetriche. Motivi zoomorfi e antropomorfi, ghirlande floreali, stemmi, loggiati, timpani, balaustre, colonnine più o meno inutili, piccionaie, torri, torrette, mosaici, sculture, edicole sacre, capitelli figurati, ferro battuto liberty, ceramiche si inseguono ovunque, andando a comporre una visione assolutamente personale di architettura.
Gino Coppedè fu idolatrato dai suoi committenti, dalla stampa, dal pubblico, soprattutto a Genova, dove visse e operò maggiormente. Le sue architetture divennero uno status symbol, sinonimo di eleganza, ricchezza e audacia. Fu conteso da nobiltà e ricca borghesia. Eppure, contemporaneamente, ebbe molti detrattori, e l'espressione ''stile Coppedè'' fu indice di rozzezza e cattivo gusto. Una specie di successo/insuccesso che peraltro non lo privò di una grande fortuna professionale.
Qui sotto pubblico una vignetta del grande Giuseppe Novello, il quale evidentemente non amava il kitsch di Gino Coppedè. Faceva parte delle tavole settimanali che apparivano su La Stampa, riguardanti temi di costume e attualità e pubblicate nel periodo postbellico.
Il quartiere romano segue due temi differenti. I grossi palazzi hanno un carattere monumentale manieristico/barocco: le facciate sono movimentate superficialmente da una superornamentazione tropicale e allucinatoria, ma mantengono un aspetto massiccio e compatto grazie ai blocchi allineati e alle grosse torri.
Qui sotto pubblico una vignetta del grande Giuseppe Novello, il quale evidentemente non amava il kitsch di Gino Coppedè. Faceva parte delle tavole settimanali che apparivano su La Stampa, riguardanti temi di costume e attualità e pubblicate nel periodo postbellico.
Il quartiere romano segue due temi differenti. I grossi palazzi hanno un carattere monumentale manieristico/barocco: le facciate sono movimentate superficialmente da una superornamentazione tropicale e allucinatoria, ma mantengono un aspetto massiccio e compatto grazie ai blocchi allineati e alle grosse torri.
Un indirizzo differente è perseguito dai cosidetti Villini delle Fate, policromi, immersi nel verde (anche quello fu da lui progettato), connotati da allegria, irregolarità, asimmetrie, particolari graziosi, talvolta leziosi, ma senza ovvietà.
Il tema è medievalistico/quattrocentesco, aulico, con fantasie favolistiche antiche, sogni provinciali e nostalgici di un passato glorioso, reminiscenze eroiche e araldiche, intrecci liberty, fasti orientali, cotto assiro, marmi ellenistici, in un minestrone universale.
Coppedè non creò delle contraffazioni antiquarie; creò cose vere e nuove, ma di sostanza antica, invenzioni atte a completare la storia, antichità impossibili con radici nel nostro passato e nel nostro immaginario collettivo. La sua fantasia si dilatò liberamente senza confini di spazio nè di tempo.
Il complesso edilizio divenne immediatamente alla moda Fu la dimora invidiata delle più note personalità dell'arte e della politica. Sebbene costruite senza risparmio, con soffitti a cassettoni, affreschi, maioliche nelle cucine e mosaici nelle sale da bagno, parquet in molte delle stanze, vetrate a colori e quant'altro, sono abitazioni prive di innovazioni funzionali e tipologiche. La morte prematura che colse Coppedè ancor prima di terminare la realizzazione del progetto, gli impedì di vederne il parziale fallimento: abbastanza in fretta gli ''eletti'' che vi abitavano si resero conto di quanto gli appartamenti fossero scomodi e poco funzionali. A questo proposito ecco un'altra vignetta di Novello:
Non incontrando più il gusto e le esigenze di chi li aveva acquistati, passarono di mano. Furono rilevati da persone meno in vista, a prezzi meno alti.
Molti (oggi la maggior parte) furono convertiti in uffici di rappresentanza di grosse ditte o di ambasciate. Tutti furono necessariamente ristrutturati.
I concetti di abitazione oggi son molto diversi da quelli di allora. Gli appartamenti concepiti da Gino Coppedè hanno tutti bellissimi spazi per ricevere, vasti e articolati, spesso composti da sale diverse comunicanti fra loro tramite grandi archi. Ma le zone di servizio, come la cucina, sono lontane e nascoste, essendo destinate all'uso esclusivo della servitù. Inoltre lo spazio è sovente scandito da larghi e lunghi anditi, oggi visti più che altro come uno spreco.
Non incontrando più il gusto e le esigenze di chi li aveva acquistati, passarono di mano. Furono rilevati da persone meno in vista, a prezzi meno alti.
Molti (oggi la maggior parte) furono convertiti in uffici di rappresentanza di grosse ditte o di ambasciate. Tutti furono necessariamente ristrutturati.
I concetti di abitazione oggi son molto diversi da quelli di allora. Gli appartamenti concepiti da Gino Coppedè hanno tutti bellissimi spazi per ricevere, vasti e articolati, spesso composti da sale diverse comunicanti fra loro tramite grandi archi. Ma le zone di servizio, come la cucina, sono lontane e nascoste, essendo destinate all'uso esclusivo della servitù. Inoltre lo spazio è sovente scandito da larghi e lunghi anditi, oggi visti più che altro come uno spreco.
Comunque, quando mi è capitato di visitare il quartiere, ho notato che non si trattava solo di uffici: si vedeva che c'era ancora un andirivieni tipico delle abitazioni private, ma non abitate da comuni mortali. In giro ho visto maggiordomi in giacca rigata e camerieri filippini; dei fortunati e ricchi abitanti invece, nessuna traccia.
Metto qui le foto di alcuni degli ingressi. Più in là non sono potuta andare.
Il desiderio di poter guardare dentro queste case da favola era grande. Ma per fortuna l'onnipotenza del web ci viene incontro: a seguire pubblico alcune foto degli interni. Molti sono splendidi, con le carte da parati, i pavimenti, gli affreschi originali. Altri sono arredati in modo deludente e pretenzioso, e nelle ristrutturazioni hanno perso parecchio.
Questa cucina (completamente ristrutturata) ha il balconcino sotto il grande arco di ingresso al quartiere, proprio sul lampadario in ferro battuto. |
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Lo stile Coppedè nacque e morì con Gino, poichè era l'espressione della sua personale immaginazione. Ma tutti coloro che di immaginazione sono dotati, così come della capacità di sognare, possono riconoscervi ciò che hanno sognato da bambini, da adolescenti, e, se sono fortunati, anche da adulti.
FINE
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