domenica 23 novembre 2014





SI SCONSIGLIA LA LETTURA DI QUESTO POST ALLE PERSONE PARTICOLARMENTE SENSIBILI
MEMENTO MORI



Prima dell'invenzione della fotografia (o del suo antenato, il dagherrotipo, che nasce nel 1839) l'unico modo per conservare l'immagine di una persona e tramandarla ai posteri era commissionarne il ritratto, pratica costosa destinata ai soli benestanti.
Con l'avvento della fotografia, ''fermare'' il ricordo di una persona divenne una possibilità accessibile quasi a tutti. Fu allora che si diffuse la fotografia ''post mortem''.


E' necessario inquadrare questa usanza nel giusto contesto storico-culturale: ciò che a noi sembra sinistro e inquietante, era talvolta l'unica possibilità di conservare l'immagine dei propri cari. L'aspettativa di vita infatti era così breve che spesso non si aveva il tempo di provvedere a fare delle  foto, e quelle post mortem finivano per essere le uniche. Basti pensare all'elevata mortalità neonatale o infantile : i genitori erano preparati a veder morire più d'uno dei loro figli in tenerissima età, e a morire essi stessi piuttosto giovani. 


La morte veniva perciò accettata come parte del quotidiano, con una buona dose di rassegnazione. Niente a che fare con la mentalità collettiva odierna, profondamente mutata. Oggi la morte viene rimossa, censurata evitando di parlarne. E suscita ribellione, rabbia, la ricerca di un colpevole che paghi, qualora giunga inaspettata o precoce (diciamo prima dei 95 anni). 

Queste differenze di visuale spiegano come sia stato possibile l'affermarsi di questo costume, che va letto come un atto d'amore e un omaggio nei confronti del defunto.
Le prime foto si limitarono a mostrare il morto nella bara o composto sul letto (un semplice ultimo ricordo), ma presto i fotografi divennero abilissimi: cominciarono a posizionare il cadavere su un divano come se dormisse profondamente, ad indicare il sereno stato di benessere del suo spirito. Questo leniva il dolore dei parenti che avevano così l'illusione di un piacevole sonno. 

 


In breve, saggiando meglio la potenzialità del mezzo, si incominciò a rappresentare i corpi come se fossero ancora in vita, seduti o in piedi, sostenuti da appositi cavalletti, intenti magari a qualche piccola attività, come lettura o uncinetto. 









Nella foto a fianco la vecchia signora ha un reggitesta il cui meccanismo è documentato dalla foto qui sotto. Più in basso, nel disegno, è mostrato il cavalletto che veniva utilizzato per tenere in piedi il cadavere.












 






Frequenti le foto di bambini circondati dai giocattoli più amati o in grembo ai genitori (più o meno impietriti).

















Per ottenere degli effetti credibili i fotografi divennero abilissimi
nell'uso di unguenti, cosmetici, piccoli atrezzi per stirare dei sorrisi, aprire gli occhi o eventualmente dipingerli sulle palpebre chiuse.






Qui a fianco, un'impressionante immagine in cui gli occhi sono stati dipinti sopra le palpebre.





 











Come si può vedere nelle foto che seguono, talvolta i risultati erano eccezionali, talvolta mediocri e talaltra pessimi. 





 Queste due giovani sorelle sembrano vive. In realtà quella in piedi è morta: il braccio destro è appoggiato mollemente su quello della sorella che così lo frena.

Se dietro l'amaca non fosse visibile il cavalletto, nulla farebbe supporre che la bimba con la bambola sia morta.







 Nessuno qui può dubitare che la donna al centro sia quella messa peggio.













 Questa foto è davvero triste, ma ben riuscita: capiamo che le sorelline sono ambedue morte solo per la presenza di due cavalletti.












 Nell'immagine sottostante le parti sono invertite: Il bimbo, molto piccolo, è vivo; chi è morta è la madre.






















 Sotto: il biglietto da visita pubblicitario di un fotografo, che dimostra la sua abilità nel far sembrare vivo chi è morto.


















Gruppo di famiglia: la morta è circondata dai parenti. Il marito accenna ad un mezzo sorriso. Le pose erano molto lunghe. Talvolta accadeva che l'unico veramente a fuoco fosse il cadavere, rimasto immobile.

Qui sotto invece, una foto assai bella, ripresa in studio. Un ottimo lavoro, difficile indicare il cadavere. Si potrebbe pensare che sia la ragazza in piedi a sinistra, visto che la sua posizione è quella più semplice, ma è probabile che sia invece la ragazza seduta in posizione naturale a destra, col gomito poggiato sulle ginocchia della madre. Gli occhi sembrerebbero dipinti sulle palpebre








































 Lo scopo era sempre lo stesso: ''fermare'' il ricordo di una persona, imprigionare sul supporto sensibile l'anima del morto congelandola per sempre.
La pratica era diffusa in tutta Europa e nelle Americhe e prescindeva dalla religione di appartenenza. Il fotografo lavorava a domicilio o nel proprio studio, dove il cadavere veniva trasportato, e dove talvolta si allestiva un vero e proprio ''set'' con arredi, fondali e, magari, perfino dei figuranti travestiti da angeli. 

 Una romantica foto di due sorelle, quella di sinistra ovviamente morta, in un bellissimo scenario.


Assurda questa fotografia con angeli, per illustrare la tragica morte di due fratellini.



Un altro obbrobrio: il bambino impersona una specie di puttino sulla riva erbosa di un ruscello (uno specchio) in stile pastorale-arcadico

Ed ecco infine una specie di bella addormentata.





























Verso la fine dell'800 il fenomeno, raggiunti questi eccessi, subì un'involuzione, come spesso accade in ogni campo. Cessarono allora i tentativi di simulare la vita (che spesso avevano sconfinato nel vilipendio di cadavere) e si tornò alle più sobrie immagini del morto nella bara, magari circondato da candele e fiori, ed eventualmente una cerchia di parenti composti.
Questa foto è stata fatta a St Louis, Illinois, con un gruppo particolarmente numeroso.


Particolarmente cruda e essenziale l'immagine che segue. Son rimasta indecisa riguardo alla madre. In un primo momento ho pensato che fosse morta di parto insieme ai tre gemellini, ma credo sia viva. Altrimenti le avrebbero chiuso occhi e bocca, visto che la foto è senza alcuna pretesa di eleganza e finzione.


Cavalcando l'onda di quest'usanza si approfittò per fare lo stesso genere di foto anche in occasione della morte di animali molto amati, come vediamo in quest'immagine.

 Non ho invece spiegazioni per questa fotografia spaventosa. Il corpo della donna appare in avanzato stato di decomposizione. Il bimbo invece è morto di recente: no, non è terrorizzato perchè costretto a posare vicino ad un cadavere sfatto, semplicemente ha gli occhi chiari dipinti sopra le palpebre. Forse per seppellire il piccolo hanno dovuto aprire la tomba di famiglia, e magari trovando la nonna, morta tempo prima e relativamente ben conservata, hanno avuto questa bella pensata...non so che dire.




Nel'900, col diffondersi delle macchine fotografiche, la pratica delle foto post mortem venne abbandonata. Le istantanee consentivano ormai a chiunque di venir fotografato lungo il corso della propria vita, e il ''memento mori'' non era più necessario. 




Nel film The Others (2001, del regista Alejandro Aménabar) la protagonista Grace (Nicole Kidman) trova un vecchio album fotografico dove uomini, donne, bambini paiono tutti addormentati. 



La governante, signora Mills (Fionnula Flanagan) fa notare alla donna che si tratta di un libro dei morti: conservare le immagini dei morti era l'uso del secolo precedente (il film dovrebbe svolgersi alla fine della seconda guerra mondiale) in modo da mantenere un legame latente tra il mondo dei vivi e di coloro che non sono più con noi. Curiosamente il libro mostra persone singole, ma anche coppie o piccoli gruppi di persone, evidentemente morti contemporeneamente: mancando le cure mediche capitava di morire ''a grappoli'', per malattie contagiose o intossicazioni. Nel 1889-90 ci fu un'epidemia mondiale di influenza detta asiatica (perchè ebbe origine nella parte asiatica della Russia, la Tartaria) che provocò un milione di decessi. Probabilmente sarebbe questa la malattia all'origine di questo libro dei morti. Invece la spagnola, che spazzò intere famiglie, comparve dopo, durante la prima guerra mondiale (nel 1957-58 ci fu un'altra epidemia di influenza, anche questa detta ''asiatica'', che fece circa due milioni di morti).
Una foto, tardiva per questo genere di immagini, appare qui sotto: sembra della fine degli anni '20 del '900. In effetti proprio il periodo della spagnola: due figli, nemmeno piccolissimi, perduti contemporaneamente, l'espressione dei genitori fa spavento.



...................

Di tutt'altro genere sono le fotografie degli archivi di polizia e quelle autoptiche. Vengono diffuse quelle dei banditi morti violentemente in uno scontro a fuoco, quelle dei dittatori, dei terroristi a lungo inseguiti e altre, comunque oggetto di grande scalpore. Le motivazioni sono ben diverse: si tratta in questi casi, di scopi politici, propagandistici e giornalistici. Dove le precedenti erano un segno di riguardo e amore verso il defunto, queste comunicano invece squallore, morbosa curiosità, violenza e mancanza di rispetto: tutto sommato molto più inquietanti e offensive delle ingenuità sentimentalistiche ottocentesche. Riconosco di fare anch'io la mia parte pubblicandole; ma, che dire, il web ne è pieno...


 

 

 Marilyn Monroe in una foto della morgue, e al suo funerale






Ernesto Che Guevara




Benito Mussolini







John Kennedy


 Rasputin


Bill Doolin, ultimo superstite della banda dei fratelli Dalton



Gheddafi
Aldo Moro



Lady Diana














Hitler












Luigi Tenco




1 commento:

  1. Ciao ChiaraOscura,
    un appunto: la supposta foto di Hitler morto raffigura in realtà il suo sosia Gustav Weler, che fu ucciso con un colpo alla fronte nei giorni della caduta di Berlino, probabilmente da militari dello staff della Cancelleria del Reich (il cadavere di Hitler era già stato cremato in quel momento).
    Il cadavere di Wengler venne anche fotografato e filmato dai sovietici, che - per quanto già avvertiti da un cuoco del FuhrerBunker del fatto che si trattasse di un sosia - lo trasportarono a Mosca per indagini, per poi seppellirlo nel cortile della nell'allora carcere della NKVD in Lefortovo a Mosca (poi carcere del KGB, oggi FSB... anche se nulla è cambiato nelle pratiche di quel luogo di terrore).

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