domenica 18 dicembre 2016





UN CANTO DI NATALE
(A CHRISTMAS CAROL)


 A Christmas Carol, scritto da Charles Dickens nel 1843, in poco più di due mesi, per essere pubblicato in tempo per le feste natalizie (una strenna diremmo oggi).



 Fa parte di una serie di cinque racconti dedicati al Natale che l’autore pubblicò fino al 1848 e che, sotto l’apparenza di favola edificante, descrivono uno dei temi più cari all’autore inglese, quasi un nervo scoperto: la vita dei ceti sociali economicamente svantaggiati (i ‘poveri’ si sarebbe detto in tempi di no politically correct) e la denuncia vibrante delle situazioni di sopruso e pregiudizio. 


 
In questo Dickens è coerente con se stesso e aggiunge una tessera a quel gigantesco mosaico letterario che sarà il suo carattere distintivo. Il racconto della Londra tetra e austera, la Londra fredda della miseria, della disuguaglianza, dell’ingiustizia, è centrale nel Canto di Natale e l’arido Ebenezer Scrooge, con la sua leggendaria e antonomastica grettezza morale, ne è l’alfiere ineguagliabile.


















Moltissimi sono gli illustratori che hanno dato vita a Il Canto di Natale. Il mio preferito è Roberto Innocenti che nel 1990 si immerge nella Londra di Dickens e ne succhia l’anima, quasi con un’istintiva lettura ‘politica’ del testo.


 



 Le vie fredde e cupe appaiono in tutto come la proiezione di uno stato d’animo scostante, il ritratto di una dolorosa miseria sociale e personale. I mattoni dei muri della città sono neri e opachi di nebbia e carbone. Nelle strade costipate, su per le scale buie, nei vicoli abitati da un sottoproletariato cencioso, degradato, inquietante, i fantasmi del Natale passato, presente e futuro mostrano a Ebenezer Scrooge la desolazione della sua vita e gli indicano la via per un possibile, diverso, esito.
(liberamente tratto dal blog 'Principi e Princìpi').






FINE

Per approfondire i problemi dei lavoratori del passato:


giovedì 27 ottobre 2016




TRA RELIGIONE, ARTE E HORROR



Qui in Italia, tra cristiani più o meno praticanti o atei convinti, tutti abbiamo ricevuto una formazione e un'educazione cattolica. E tutti abbiamo convissuto da sempre con l'incombente presenza di chiese sovraccariche di ornamenti, ori, statue e dipinti; siamo abituati alle raffigurazioni di Dio, Madonna, santi, angeli e martiri. 
Ciò che per noi è assolutamente normale altrettanto non è per anglicani, protestanti, musulmani o altri; a cominciare dalla raffigurazione realistica onnipresente di Gesù torturato e crocifisso, per proseguire con truculente raffigurazioni di uomini martirizzati con frecce, graticole, decapitazioni, sbudellamenti, mutilazioni di ogni tipo, un susseguirsi di santi bolliti vivi o soffocati dal piombo fuso, lingue strappate, occhi e budella sparse, corpi fatti a pezzi, bruciati, straziati in ogni possibile variante, e rappresentazioni delle punizioni divine con fuoco eterno e diavoli armati di forconi; il tutto tra rituali scanditi da misteriose formule latine, paramenti vistosi e fumi di incenso. Per un non cattolico ce n'è quanto basta per restare colpiti, o addirittura terrificati.


Caravaggio: Particolare dell'Incredulità di san Tommaso
 
Caravaggio: crocifissione di san Pietro
Andrea Mantegna: san Sebastiano


 Scrive Umberto Eco nella sua Storia della bruttezza:
Raramente nell’arte medievale il martire è rappresentato imbruttito dai tormenti come si era osato fare col Cristo. Nel caso di Cristo si sottolineava l’immensità inimitabile del sacrificio compiuto, mentre nel caso dei martiri (per esortare a imitarli) si mostra la serenità serafica con cui essi sono andati incontro alla propria sorte. Ed ecco che una sequenza di decapitazioni, tormenti sulla graticola, asportazione dei seni, può dar luogo a composizioni aggraziate, quasi in forma di balletto. Il compiacimento per la crudeltà del tormento sarà caso mai reperibile più tardi […], nella pittura seicentesca. 








Caravaggio: Salomè con la testa di san Giovanni Battista

Giacinto Brandi
L'apice di questa costumanza lo troviamo forse nella chiesa romana di S. Stefano Rotondo al Celio, un vero e proprio compendio di torture d'ogni genere ad opera del Pomarancio.




Il concetto di martirio è familiare un po' a tutti, ma credo che solo i cattolici si siano compiaciuti di rappresentarlo figurativamente in modo così insistente ed esplicito. Ugualmente è familiare il concetto di ''punizione divina'', e anche a questo riguardo ai cattolici è piaciuto molto rappresentarlo.


Inferno, dipinto di Gregorio Are, Santuario della Madonna dei Martiri a Fonni, Sardegna
Ib. (particolare)
L'inferno per il Beato Angelico

 In particolare, il poeta Dante Alighieri ce l'ha raccontato con grande fantasia e ricchezza di particolari unica.
Questo spiega come mai tanti scrittori stranieri, registi e sceneggiatori abbiano pensato di utilizzare come sfondo o ispirazione per i loro thriller le chiese italiane (v. per esempio i romanzi di Dan Brown e i film tratti da questi) o si siano basati sull'inferno dantesco. Quest'ultimo, per noi italiani reso familiare e quasi ''banalizzato'' dagli studi scolastici, è invece visto dagli stranieri come una specie di racconto dell'orrore.


William-Adolphe Bouguereau: Due anime dannate si azzuffano a morsi nel girone dei falsari
Eugène Delacroix: La  barca di Dante nella palude Stigia, con iracondi e accidiosi
 
Questa e segg: Gustave Doré
Diversi film e romanzi l'hanno avuto come filo conduttore: ricordo un film in cui uno chef assassinava per vendetta alcuni suoi colleghi usando di volta in volta una delle pene inventate dalla fantasia di Dante.
Nel romanzo ''Inferno'' di Dan Brown, è l'autore stesso che ci spiega come la Divina Commedia abbia dato spunto a numerosi artisti:


''Nei sette secoli trascorsi dalla pubblicazione del poema, la visione dantesca dell’inferno aveva ispirato omaggio, traduzioni e variazioni da parte di alcune delle più grandi menti creative della storia. Longfellow, Chauce, Marx, Balzac,Borges e addirittura numerosi papi avevano scritto opere basate sull’Inferno. Monteverdi, Liszt, Wagner, Cajkovskij e Puccini avevano composto brani basati sul lavoro di Dante, così come una delle artiste viventi preferite da Langdon, Loreena McKennit. Perfino il moderno mondo dei videogame e delle app per iPad abbondava di offerte in qualche modo collegate al sommo poeta.''



Secondo il regista Ron Howard '' "La Divina commedia di Dante è davvero potente. Nel rileggerlo è stato per me come se ci stesse dando una sorta di guida a tutti i film horror che sarebbero venuti''.











E' facilmente intuibile la ragione per cui i lettori stranieri della Divina Commedia (che accedono alla versione in prosa tradotta in lingua moderna, quindi in forma più semplice e diretta di come la studiamo noi italiani) siano colpiti soprattutto dalla prima delle tre cantiche (Inferno), la più suggestiva e orrorifica (fa eccezione il romanzone best seller L'Ultimo Catone di Matilde Asensi che si basa invece sul Purgatorio).




E giacchè si è parlato di Inferno dantesco, vorrei ricordare un capolavoro della cinematografia italiana del 1911. Si parla ovviamente di cinema muto, il primo lungometraggio nazionale: L'Inferno, di Giuseppe de Liguoro, Francesco Bertolini e Adolfo Padovan: tre anni di lavorazione, 150 persone coinvolte, costi elevati, effetti speciali, un film visionario, avveniristico, con scenografie ispirate alle incisioni di Doré che vale la pena ancor oggi di vedere. Al momento lo trovate anche su You tube a questo link
https://youtu.be/oP-wgPyawsQ


FINE 

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giovedì 15 settembre 2016





IL TESTAMENTO DEL PRETE ATEO

Chiesa di Etrèpigny

 «Io vorrei, e questo sia l'ultimo ed il più ardente dei miei desideri, io vorrei che l'ultimo dei re fosse strangolato con le budella dell'ultimo dei preti.»

Jean Meslier era un umile parroco francese. Uscito dal seminario nel 1689 e subito ordinato sacerdote, era diventato curato presso Mesières, nella parrocchia di Etrèpigny, nel cuore delle Ardenne. Lì rimase fino alla morte, nel 1729. 
Quarant'anni di silenzio e anonima tranquillità, fatta eccezione per un unico episodio: un battibecco col signorotto di Etrèpigny, uno sfruttatore senza scrupoli della manodopera salariata locale. Costui denunciò la faccenda al vescovo il quale comminò una lieve punizione al prete, e la cosa si concluse lì. Per il resto, il parroco era considerato un uomo probo e un sacerdote affidabile.
Lo scandalo scoppiò solo dopo la sua morte, all'apertura del suo testamento.


In seminario Meslier aveva studiato a fondo i testi canonici. In seguito ebbe il tempo di reinterpretarli in chiave razionale. Era l'alba del ''secolo dei lumi'' e lui era senza dubbio un uomo intelligente e di cultura. Conosceva certamente gli scritti di Epicuro, Lucrezio, Montaigne, Malherbes, Spinoza, Cartesio ed altri che non manca di citare nel suo testo. Probabilmente invece era all'oscuro dei testi antireligiosi che a quel tempo circolavano clandestinamente in Europa, manoscritt costosissimi destinati alle corti e alla nobiltà, che erano senz'altro fuori della sua portata. 
Ciò che mise per iscritto negli ultimi anni della sua vita fu perciò qualcosa che aveva lungamente maturato nel silenzio della sua sperduta parrocchia: una lunga spietata critica di tutte le religioni, e in particolare di quella cristiana, mettendone a nudo tutte le storture, le menzogne e le ingiustizie che ne costituiscono le basi. A questa monumentale opera manoscritta diede un titolo esplicativo:

''Memoria dei pensieri e dei sentimenti di Jean Meslier, prete e curato di Etrèpigny e di Balaives su una parte degli errori e degli abusi del comportamento e del governo degli uomini da cui si dimostrano in modo chiaro ed evidente le vanità e le falsità di tutte le divinità e di tutte le religioni del mondo, affinchè sia diretto ai suoi parrocchiani dopo la sua morte e per essere da loro usata e da tutti i loro simili quale testimonianza di verità.''

Il testamento è articolato in varie parti in cui si dimostrano diversi punti fondamentali: che le religioni non sono che invenzioni umane; che la ''credenza cieca'', ossia la fede, è fatta di errori, illusioni e raggiri; che le presunte visioni e rivelazioni divine sono delle falsità, così come sono false le presunte profezie della Bibbia; che vi sono errori nella dottrina e nella morale cristiana; che la religione autorizza le prepotenze e la tirannia dei grandi; che il concetto di divinità è falso come sono falsi quelli di spiritualità e immortalità dell'anima.

''Questo modo di credere è sempre cieco, poichè le religioni non dànno, nè riuscirebbero mai a dare, alcuna prova chiara, sicura e convincente, della verità dei loro presunti santi Misteri o delle loro Rivelazioni divine.
Come sarebbe sciocco prestare fede ai miracoli del paganesimo, così è estremamente sciocco prestare fede a quelli del cristianesimo, poichè gli uni e gli altri scaturiscono da uno stesso principio di errori e menzogne.
(...) E' evidente che i suddetti Libri Sacri, non essendo stati scritti sotto ispirazione divina, non possono in nessun modo servire come testimonanza di verità.
(...) I Dottori [della Chiesa], che sanno accusare e condannare così bene le false credenze dell'idolatria dei pagani (...) come possono pensare che l'assurda e ridicola consacrazione che essi compiono dei loro fragili idoli di pasta abbia più forza e effetto dell'altrettanto assurda consacrazione che i pagani fanno dei loro idoli di pietra o legno o oro?
(...) La religione è un vero e proprio vivaio di fanatici (...) Tali idee sarebbero scomparse da tempo se coloro che le tengono in piedi con la loro autorità (...) non trovassero il loro grasso tornaconto (...) nel mantenere inalterate queste false credenze poichè [v. I Saggi di Montaigne] è necessario che il popolo ignori molte cose vere e ne creda molte false.
(...) Dichiaro infine, miei cari amici, che in tutto ciò che ho scritto fin qui io non ho preteso che di attenermi ai lumi naturali della ragione...''


Il Re Sole, Luigi XIV

Tuttavia Meslier non è semplicemente ateo e anticlericale: egli è anche antimonarchico. Nel Testamento lancia un appello violento e disperato in favore della rivoluzione con un anticipo di sessant'anni, incitando il popolo ad unirsi per liberarsi della tirannia dei nobili e dei re, poichè 
''la salvezza del popolo non dipende che dal popolo stesso'' (...) ''Unitevi dunque uomini, se siete saggi, unitevi tutti se avete coraggio per liberarvi dalle vostre comuni miserie. E' da voi, dalla vostra laboriosità, dal vostro lavoro che nasce l'abbondanza dei beni e delle ricchezze della terra (...) [i beni prodotti] teneteli per voi e per i vostri simili, non date niente a questi superbi e fannulloni.
Non si vedono più ormai, fra coloro che detengono le più alte cariche dello Stato, se non meschini adulatori pronti ad approvare i loro turpi disegni, ad inseguirne gli ingiusti ordini (...) a sottoscrivere ciecamente tutte le ordinanze dei loro Re che non oserebbero contestare.
Intendenti, governatori, comandanti, ufficiali, soldati che non servono che a sostenere l'autorità del tiranno. Impiegati, controllori, gabellieri, sbirri, ufficiali giudiziari che come lupi affamati mirano solo a divorare la preda, saccheggiando e tiranneggiando il popolo oppresso, avvalendosi del nome e dell'autorità del Re''

Meslier propugnava un ateismo assoluto e un'utopia anarco-comunista largamente in anticipo sui tempi. La sua tesi è semplice: se la nobiltà è il risultato della brutale tirannia, la religione è un insieme di assurdità generate dalla paura di cui si servono i nobili per imporre il loro potere. Religione e tirannia si appoggiano reciprocamente. Il Cristianesimo, insistendo sulla sofferenza, l'umiltà, la povertà e la condanna del piacere legittima i soprusi del Re e dei nobili (una tesi ripresa da Nietzsche). Preti e nobili sono solo dei fannulloni ipocriti e parassiti.

Jean Meslier impiegò un paio d'anni per stendere il monumentale testamento, poi con pazienza certosina ne fece altre due copie, in maniera d'avere maggiori speranze di diffusione. Le lasciò al suo successore, chiunque fosse, con preghiera di tenere per sè una copia e distribuire le altre a due curati del vicinato. Nella lettera d'accompagnamento chiedeva perdono ai suoi parrocchiani per l'inganno durato quarant'anni, ma i tempi erano duri, si veniva arsi vivi per molto meno. Anzi, raccomandava estrema prudenza anche ai suoi colleghi.

''Sono sicuro che se voi vi affidaste al vostro intelletto, vedreste chiaramente, come io ho visto, che tutte le religioni di questo mondo sono solo invenzioni dell'uomo (...) 
Vi esorto ad approfondire se tutto ciò che ho scritto è vero (...) se vi ho convinti allora non esitate ad intervenire per difendere la verità ed aiutare le genti che soffrono sotto il giogo della tirannia, dei soprusi, delle superstizioni.
Ma visto che anch'io non ho avuto il coraggio di spingermi oltre, evitate di dichiararvi apertamente, durante la vostra esistenza (...) ma almeno alla fine dei vostri giorni dichiaratevi in favore della verità.
(...) Cessate di interpretare in senso figurato, allegorico, mistico delle vuote scritture che ritenete sacre; voi date loro il senso che volete (...) al fine di trovarci delle supposte verità che non esistono...
(...) Perchè manifestate disprezzo per la povera gente e minacciate condanne eterne per dei piccoli peccati invece di protestare contro le rapine pubbliche, contro le palesi ingiustizie dei governanti...?
E conclude: ''Che i preti, i predicatori facciano ciò che vogliono del mio corpo; che lo squarcino, lo riducano in pezzi, lo brucino, lo arrostiscano, che lo mangino, se vorranno, in qualunque salsa; ciò non mi crea alcun problema. Sarò allora interamente fuori dalla loro portata e nulla sarà più in grado di farmi paura.''

Dopo la sua morte gli succedette l'ignaro abate Guillotin, il quale rinvenne le tre copie del testamento e la lettera con le ultime volontà. Allibito, ma convinto che le volontà di un defunto vadano rispettate, avvisò i curati del vicinato. Insieme impiegarono un certo tempo a completare la lettura, prima di avvisare le autorità ecclesiastiche, e nel frattempo la notizia trapelò. Ed era una notizia tale da suscitare uno scalpore estremo, pur in un secolo di illuminismo e libertinaggio: un tranquillo curato di campagna discuteva puntigliosamente le ragioni per cui rinnegava totalmente la propria fede dopo quarant'anni di ministero. 
La voce arrivò a Parigi, alla Corte del Re Sole e a tutti i circoli letterari e filosofici: tutti volevano procurarsi delle copie del manoscritto. 
Quando sul posto arrivò il Vicario era ormai troppo tardi per far scomparire i testi: l'interesse del pubblico era diventato enorme. Si consegnarono le tre copie agli uffici giudiziari di Mezières, Rethel e Saint Menehould, con l'idea di distruggerli quando le acque si fossero calmate. Invece diversi copisti molto ben retribuiti da nobili e ricchi borghesi, cominciarono a sfornare le prime copie, che poi servirono a farne molte altre. Si diffusero in tutta Europa spuntando prezzi incredibili.

Voltaire

In seguito fu Voltaire a darlo alle stampe facendo in modo che fosse divulgato. Disgraziatamente le idee di Meslier erano troppo sovversive anche per un Voltaire, che provvide ad epurarlo abbondantemente, per non mettere a rischio l'ordine costituito: tagliò tutta la parte politica e utopica, e mise mano anche alla parte religiosa. In Olanda fu pubblicato il testo originale nel 1864. Nel 1965 è stato infine pubblicato a Parigi un lavoro completo su Jean Meslier, a cura di M. Dommanget: Le curé Meslier athée, communiste et revolutionnaire.
 Col passare degli anni si è cercato di far scomparire l'abate Meslier dalla memoria collettiva.  E' una specie di desaparecido della storia ideologica: la tendenza è quella di occultare la filosofia atea; qualcuno lo ricorda talvolta, più che altro perchè incarna un curioso ossimoro: il prete ateo!



 A Mosca, nei giardini di Alessandro vi è un obelisco commemorativo della dinastia Romanov, che fu semi distrutto durante la rivoluzione d'Ottobre. Oggi, restaurato, porta incisi i nomi dei precursori del socialismo, fra cui quello di Jean Meslier.


 Fa piacere ricordare che il musicista e cantante Virgilio Savona, componente del famosissimo Quartetto Cetra, ha composto la musica e scritto il testo di una canzone: Il testamento del parroco Meslier. (Virgilio Savona infatti, affiancava all'attività di componente del quartetto Cetra, con le sue canzoni edulcorate per famiglie, anche un lavoro di musicista politicamente impegnato che vale la pena di riascoltare)
Qui sotto trascrivo il testo della canzone, che potete ascoltare qui


Il testamento del parroco Meslier
 
Avete sul collo fardelli pesanti 
di prìncipi, preti, tiranni e governanti; 
di nobili, monaci, monache e frati, 
di “guardie di sali e tabacchi” e magistrati. 
Avete sul collo i potenti e i guerrieri, 
gli inetti, gli inutili e i furbi, e i gabellieri, 
i ricchi che rubano per ingrassare 
lasciando che il popolo intanto resti a crepare. 
Abbattete i ricchi condottieri e i prìncipi! 
Sono loro, non quelli degli inferni, 
i diavoli! 
 Vermi che lasciano al contadino 
soltanto la paglia del grano e la feccia del vino. 
Teorizzano pace, bontà e fratellanza 
e poi legalizzano i troni e l'ineguaglianza.
 Hanno inventato il Dio dei potenti 
per addormentare e piegare i corpi e le menti 
Hanno inventato i demoni e gli inferni 
per far tremare e tacere poveri e inermi. 
Abbattete i ricchi condottieri e i prìncipi! 
Sono loro, non quelli degli inferni, 
i diavoli! 
 Non sono i demoni dell'intera corte 
i vostri peggiori nemici, dopo la morte, 
ma sono coloro che alzano le dita 
annientano e fanno marcire la vostra vita! 
E se vi unirete potrete fermarli 
usando budella di prete per impiccarli; 
così non sarete più schiavi di loro 
ma infine padroni dei frutti del vostro lavoro! 
Abbattete i ricchi condottieri e i prìncipi! 
Sono loro, non quelli degli inferni, 
i diavoli!

 FINE




 

martedì 26 luglio 2016




SALMONELLA MARY
  (Typhoid Mary) 

 

Tra i microbiologi italiani è conosciuta familiarmente come Salmonella Mary, ma è nota in tutto il mondo come Typhoid Mary. Il suo vero nome era Mary Mallon, irlandese nata nel 1869 e trasferita negli Stati Uniti, dove svolgeva il mestiere di cuoca, ben remunerato e di un certo prestigio rispetto a quello di cameriera o di lavandaia. Lavorò infatti presso famiglie agiate, e questo contribuì in seguito alla scoperta del pericolo gravissimo che costituiva per la società, e al suo conseguente isolamento.



Nell'estate del 1906 il ricco banchiere di New York, Charles Henry Warren, affittò una casa per le vacanze a Oyster Bay, a Long Island, e vi si trasferì con tutta la famiglia. Fu una vacanza disastrosa: nelle prime settimane, tra agosto e settembre, sei degli undici componenti della famiglia si ammalarono di febbre tifoidea, con diarrea, vomiti, temperature altissime, dolori addominali e esantema. 
Poichè le epidemie di febbre tifoidea erano ritenute appannaggio dei ceti sociali più bassi, con qualità di vita inferiore, mancanza d'acqua corrente e ambienti insalubri, il banchiere Warren volle scavare a fondo nella vicenda.




  Impiegò all'uopo un esperto di igiene, il dottor Soper, affinchè indagasse. 
Costui si dimostrò un uomo preciso e ostinato, e riuscì a ricostruire una lunga serie di accadimenti.
Anzittutto scoprì che la famiglia Warren aveva assunto una cuoca per la casa delle vacanze, la quale era rimasta in servizio per circa tre settimane, e aveva poi lasciato l'impiego proprio quando i primi componenti della famiglia si erano ammalati. La cuoca fu descritta come un donnone irlandese di circa 40 anni, con l'aria florida e in salute. Mary Mallon era andata via senza lasciare alcun recapito. 
Continuando ad indagare Soper scoprì che poco tempo prima, nello stesso anno, Mary aveva lavorato presso un'altra famiglia newyorkese, a Park Avenue, e si era frettolosamente licenziata dopo che vi era scoppiato un focolaio di tifo, due componenti della servitù erano stati ricoverati, e la figlia dei padroni di casa era morta. 
Inseguendo gli insoliti focolai di febbre tifoidea negli ambienti ricchi ed eleganti di New York, Soper scoprì che sempre c'era stata per breve tempo in ciascuna delle case infettate una cuoca che rispondeva alla descrizione di Mary Mallon, che ai primi segni della malattia fra le persone di casa, si licenziava e scompariva. In un'altra zona di Manhattan un'intera famiglia si era ammalata, e la lavandaia era morta. In casa di un avvocato erano stati contagiati sette degli otto componenti della famiglia. Insomma, ovunque andasse, la grossa cuoca irlandese, ritratto della salute, lasciava una scia di malattia e morte. 



Si stima che nel corso della sua vita lavorativa Mary abbia direttamente infettato almeno 51 persone, di cui  almeno tre decedute (secondo altre stime i morti furono molti di più, difficile stabilirlo, a causa delle numerose false identità che negli anni aveva assunto). Non si contano ovviamente coloro i quali presero l'infezione perchè a loro volta contagiati da questi malati: in quell'anno a New York circa 3000 persone furono infettate dalla salmonella typhi, e si pensa che Mary sia stata la portatrice sana, il cosidetto paziente zero. C'è anche da tener conto che gli antibiotici non furono disponibili fino al 1948.



Quando Soper riuscì finalmente a rintracciare Mary Mallon, la affrontò spiegandole che probabilmente lei stessa era la causa della malattia e della morte dei componenti delle otto famiglie in cui aveva lavorato negli ultimi anni, e le domandò campioni di sangue, feci e urine.





 Ora, benchè si fosse a conoscenza del fatto che le salmonelle fossero i vettori della febbre tifoidea, il concetto di 'portatore sano' era assolutamente nuovo. Mary, vedendosi accusata, udita la pretesa di Soper, e soprattutto sentendosi sana come un pesce, si infuriò e cacciò via l'uomo minacciandolo con un forchettone. 











Soper dovette tornare dalla donna accompagnato dalla polizia, da una dottoressa e da un ufficiale sanitario. Ci fu un inseguimento di alcune ore, un corpo a corpo, ma alla fine Mary fu presa e obbligata a fornire i campioni richiesti. Poichè questi risultarono positivi la donna fu posta in quarantena al Riverside Hospital, nella North Brother Island, alloggiata in un cottage.








Quel che resta oggi del Riverside Hospital sulla Norh Brother Island




Praticamente fu 'imprigionata' senza processo: la legge non si era mai trovata davanti ad un caso del genere. La donna era una mina vagante, ma non colpevole. Essa era convinta infatti di essere  perseguitata ingiustamente. Dopo due anni di confino, disperata, citò in giudizio il Dipartimento della Sanità, ma senza successo.




 
L'isola oggi disabitata, tra Bronx e Queens

 Nel frattempo veniva trattata con antibatterici aspecifici, lassativi e lievito di birra, che tuttavia non risolsero il problema. Poichè si stabilì che le salmonelle avevano colonizzato la cistifellea, le fu proposto di sottoporsi ad un intervento chirurgico per la sua asportazione. Mary, ovviamente, rifiutò. 

Mary fotografata durante la sua prima quarantena.


Probabilmente Mary aveva avuto in un dato momento della sua vita, una forma molto leggera di febbre tifoidea, passata inosservata, che l'aveva lasciata immune, ma l'aveva anche trasformata in una specie di serbatoio di salmonelle attive. Il contagio delle salmonelle avviene per via oro-fecale e appare chiaro che la cosa principale che le autorità avrebbero dovuto fare nel caso di Mary era quella di darle un'adeguata istruzione igienico-sanitaria.   
 Mary Mallon era una persona poco pulita, come tante altre dell'epoca. Non dava grande importanza all'abitudine di lavarsi bene le mani con sapone prima di manipolare il cibo, e si sarebbe dovuto battere su quel tasto, più che usarle la violenza del confino, e darle una nuova formazione lavorativa che fosse lontana dal campo dell'alimentazione. (Fra l'altro, oltre alla pulizia, anche la cottura dei cibi è importante, perchè le alte temperature uccidono i batteri. Disgraziatamente, uno dei piatti forti di Mary era il gelato alle pesche, preparato in gran parte a crudo).

 Invece fu lasciata sola e trascurata, una donna di mezza età, straniera, senza risorse economiche, senza più dignità, considerata dalla stampa come un pericolo pubblico, e addirittura 'un mostro'. Questo spiega, se pure non giustifica, il suo comportamento successivo.
Nel 1910 il nuovo Commissario di Salute Pubblica di New York decise di 'rivedere' il caso Mallon: pareva troppo ingiusto tenere in isolamento una donna che non aveva subito alcun grado di giudizio. Le fu sommariamente spiegata la sua situazione, le fu fatto divieto di riprendere la sua professione di cuoca, e le si procurò un impiego come lavandaia. 
Ma Mary, amareggiata dai trattamenti subiti e dalla sua discesa economica e sociale (il mestiere di lavandaia era più faticoso e meno remunerato), sparì dopo qualche tempo senza lasciare tracce. Forse la donna non aveva ben compreso che la sua attività di cuoca era un pericolo concreto che metteva a rischio la vita della gente. O se lo comprese non se ne preoccupò. In pratica, ciascuna delle parti si fossilizzò senza venirsi incontro: il Dipartimento di Salute Pubblica non aiutò realmente Mary, e lei ricominciò a fare l'unico lavoro che conoscesse. Fatto sta che Mary scomparve per cinque anni, usando vari nomi falsi e conducendo la stessa vita di prima: ogni volta che le cose si mettevano male in un posto di lavoro, sgomberava e si trasferiva altrove.


Fu rintracciata dalla polizia nelle cucine di una clinica femminile di New York, dove si erano avuti 25 casi di febbre tifoidea, due mortali. 
Stavolta l'opinione pubblica si lanciò compatta contro di lei, considerandola alla stregua di una specie di serial killer. La quarantena fu decisa come definitiva, nuovamente nell'ospedale di Riverside, da cui non uscì mai più. 


Mary, con gli occhiali, con una dottoressa. 1931

 Divenne una piccola celebrità. Ogni tanto veniva intervistata. Ma nessuno era disposto ad accettare da lei nemmeno un bicchiere d'acqua.
 In seguito le fu data una piccola occupazione nel laboratorio dell'ospedale, quella di lavare la vetreria.
Nel 1932 fu colpita da un ictus, che la lasciò immobilizzata; nel '38 morì, all'età di 69 anni, di polmonite.

FINE

Per approfondire i problemi relativi a lavoro e salute: